La rete (vendita) è... mobile (non farla morire)
LA DIFESA DELLO STATUS QUO È NATURALE,
LA PAURA DEL CAMBIAMENTO È MORTALE
di Valter Ribichesu
Una delle situazioni che più di frequente vengo chiamato a risolvere, nello sviluppo del potenziale delle reti vendita, è quella della leadership disfunzionale. La cattiva gestione della leadership da parte di manager e dirigenti pare sia, infatti, una malattia molto diffusa nelle reti: mi verrebbe quasi di parlare di pandemia!
La causa principale di questa disfunzione, dal mio punto di vista, va ricercata principalmente nel sistema premiante tipico delle aziende italiane, quelle che promuovono a “capo” il venditore più produttivo in termini di pezzi venduti, fatturato, ordini raccolti.
Ma…
Se dovessimo immaginare il manager di vendita ideale, ci renderemmo facilmente conto di quali siano le caratteristiche di questa persona:
• senz’altro dovrebbe avere numerose competenze tecniche e la capacità di saper far lavorare in autonomia i suoi agenti, così che emergano le capacità personali e diventino aree di miglioramento.
• Al tempo stesso dovrebbe anche gestire il controllo dell’attività, correggendo gli errori e incentivando i successi.
• A queste qualità va aggiunta un’adeguata dose di carisma personale: il manager dev’essere “ammirato” e seguito.
Se pensiamo ai grandi condottieri del passato, il confronto tra Cesare e Alessandro Magno è senz’altro il più efficace per distinguere un capo da un leader: Cesare si faceva obbedire con la paura (tanto da essere ucciso dai suoi collaboratori più fedeli, figlio compreso); Alessandro era un leader carismatico, amato dai suoi soldati al punto che andarono con lui ben oltre i confini del mondo allora conosciuto.
TRA L’ALTRO…
Le difficoltà maggiori che un manager di vendita deve affrontare per la sua maturazione professionale solitamente riguardano l’area relazionale più che quella tecnica (con “tecnica” intendo la conoscenza delle caratteristiche del prodotto/servizio venduto).
DOV’È IL PUNTO?
Storicamente le aziende italiane si sono sviluppate, e si sviluppano, non intorno alla capacità di fare marketing, di vendere, di relazionarsi con i mercati nazionali e internazionali, ma intorno alla capacità di produrre. Se ci pensate, l’Italia è una nazione manifatturiera che ha visto il suo boom economico principale negli anni Sessanta, quando l’economia nazionale ha toccato l’apice del suo successo. Se guardiamo a quel periodo, è facile comprendere la radice del problema: all’epoca qualunque cosa venisse prodotta… si vendeva. Non serviva curare così tanto la relazione, il marketing, la comunicazione, la vendita insomma. L’importante era produrre.
Le Pmi italiane, che come è noto costituiscono l’ossatura dell’Italia, la sua colonna vertebrale, anche se talvolta hanno cambiato vestito, sono nella sostanza ancora le stesse di quegli anni. Il management è a carattere prettamente familiare: anche se sulla carta i ruoli di controllo sono coperti dalle nuove generazioni, sovente alle spalle c’è sempre il “grande vecchio” che tiene le fila dei suoi “manager”. Anche per questo motivo prendono piede frasi come “si è sempre fatto così” o “non capisco perché adesso dobbiamo cambiare”.
Non c’è da stupirsi se il management cresciuto in questo modo non possieda, né tanto meno manifesti, il carisma e la leadership necessari a svolgere il mestiere del “far fare” in maniera efficace, che si tratti vendita o di qualsiasi altra funzione aziendale.
Tale condizione, già grave di per sé, viene appesantita dall’atavica diffidenza verso tutto ciò che arriva dall’esterno: la naturale propensione omeostatica al raggiungimento e mantenimento della stabilità funzionale e comportamentale che accomuna tutti gli esseri viventi la ritroviamo anche nelle aziende che, non ci dimentichiamo, sono formate da esseri viventi. La difesa dello status quo è un processo naturale, direttamente proporzionale agli anni di attività che un’azienda ha alle spalle e ai risultati raggiunti. Attività che la espone molto di più rispetto a una start up all’estinzione per mancata evoluzione.
Se si vuole creare un management strutturato, capace di manifestare e gestire un adeguato livello di leadership, bisogna esplorare territori controvertibili ed essere pronti a rimettere tutto in discussione.
DUE PASSI FONDAMENTALI
1. Un buon punto di partenza è iniziare a immaginarsi quanto le cose possano ancora peggiorare se si continua a persistere nelle abitudini in essere. Insomma evitare di auto ingannarsi per individuare i veri problemi.
2. Una volta trovati i problemi veri il passo successivo è smettere di interrogarsi sul perché è successo e cominciare a pensare a cosa fare nel presente affinché non accada più; concentrarsi sulle soluzioni, perché sono le soluzioni che spiegano i problemi e non viceversa.
Questo no, non è un processo naturale, perché controvertibile, e perché per funzionare deve rimettere tutto in discussione. Perciò è utilissimo farsi assistere da consulenti specializzati che hanno un punto di vista libero e incondizionato e soprattutto hanno le competenze e l’esperienza per condurre un processo di questo tipo nel modo migliore.
La logica della ragione è ormai troppo semplicistica per far sì che nei sistemi moderni e nei mercati globalizzati si possa affidarvisi esclusivamente e sostenere con successo un qualunque progetto. I fisici Einstein e Heisenberg e il matematico Godel ci hanno chiaramente dimostrato come il rapporto tra soggetto che osserva e soggetto osservato sia indivisibile. Quando si interviene su un sistema, per quanto lo si faccia in maniera logica, il sistema si modifica automaticamente. Tanto vale intervenire per farlo cambiare positivamente, no?
Come affermava uno dei padri della pragmatica della comunicazione, Gregory Bateson, “il rigore da solo è la morte per asfissia, la creatività da sola è pura follia".