Successo? Non arriva mai nelle migliori condizioni possibili
INTERVENTO DI JULIO VELASCO AL LEADERSHIP DAY 2021 DI PERFORMANCE STRATEGIES
PER GENTILE CONCESSIONE DI PERFORMANCE STRATEGIES
Al Leadership Day 2021 di Performance Strategies, Julio Velasco, uno degli allenatori più famosi della pallavolo italiana (per dire: due ori mondiali, tre ori europei, cinque scudetti e un argento alle Olimpiadi), fa memoria a tutti di aver visto l’Italia trionfare proprio dopo periodi difficili: sia nel 1982 che nel 2006, per esempio, il calcio era sotto inchiesta, scandali e squalifiche gettavano ombre scure, eppure alzammo in aria quelle coppe. «Di solito si dice che, per vincere, tutto debba essere perfetto. Non è così».
Altro che “tempesta perfetta”, intesta come combinazione di fattori che incredibilmente di allineano per favorire i favoriti. «Quest’anno l’Italia arrivava da una mancata qualificazione ai Mondiali 2018. A luglio abbiamo vinto il titolo di campioni d’Europa. Stessa situazione nel mondo della pallavolo, dove entrambe le squadre, quella femminile e quella maschile, hanno fallito le Olimpiadi, prima di diventare campioni d’Europa».
Errori, imprevisti, dubbi sono spesso il “contorno” di grandi imprese, sia sportive che imprenditoriali.
Ha scritto Rita Levi Montalcini:
Né il grado di intelligenza, né la capacità di eseguire e portare a termine con esattezza il compito intrapreso sono i fattori essenziali per la riuscita e la soddisfazione personale. Nell’una e nell’altra, contano maggiormente la totale dedizione e il chiudere gli occhi davanti alle difficoltà: in tal modo possiamo affrontare problemi che altri, più critici e più acuti, non affronterebbero.
GLI OBIETTIVI SONO… L’OBIETTIVO
Fissare degli obiettivi aiuta a dedicarci meglio al compito che abbiamo, a far fare ad altri quello che devono, nella situazione in cui sono e siamo – che è l’unica che abbiamo. Ma come devono essere questi obiettivi?
1. Devono essere specifici
«Spesso non siamo noi a stabilirlo e ci viene assegnato dall’alto, però quello che sicuramente possiamo fare è renderlo il più specifico possibile per il nostro gruppo».
«Molti allenatori tendono a parlare in generale: “Dobbiamo migliorare la squadra”. Ma migliorare cosa, come? Per reazione naturale del cervello umano, nelle situazioni in cui l’obiettivo non è chiaro, si tende a risparmiare energie. Se durante l’allenamento dico: “Forza, arriviamo fino a laggiù di corsa” senza specificare dov’è quel “laggiù”, l’atleta si demoralizza, perché non sa qual è il risultato che deve ottenere. È una reazione istintiva».
2. Devono essere ambiziosi ma raggiungibili
«Sufficientemente ambiziosi, per mettere in moto tutte le risorse straordinarie che ognuno ha, ma anche raggiungibili. Se la mia squadra pensa che l’obiettivo sia troppo ambizioso e difficile da raggiungere, non ci crederà abbastanza. Al contrario, se sarà poco ambizioso e anche poco difficile, non si impegnerà abbastanza».
3. Devono essere divisibili in parti più piccole
«Gli obiettivi, infatti, non riguardano solo l’intera squadra, ma sono anche individuali e, anzi, ogni componente del team deve avere un suo obiettivo. Durante il time out, a questo proposito, non mi piace parlare a tutta la squadra: parlo direttamente con i giocatori che, in quel momento, stanno avendo difficoltà. Nel prepartita, invece, organizzo delle riunioni per ruolo, in modo da stabilire per ciascuno obiettivi ben suddivisi».
4. Devono riferirsi al presente, più che al futuro
«L’errore più comune che fanno gli allenatori ambiziosi è quello di allenare una squadra under 16, proiettandosi mentalmente già in una squadra di Serie A. Chi dirige un gruppo deve pensare a chi sta allenando in quel momento: avere la testa verso progetti futuri toglie energie e tempo che devono essere dedicati a ciò che si sta facendo in quel preciso momento».
5. Devono essere verificabili
«Nel mondo del lavoro si dà per scontato che se proponiamo un obiettivo a un dipendente, lo porterà a termine entro la fine dell’anno. In questo modo, però, si rischia di abbandonarlo anziché guidarlo lungo tutto il percorso. Inoltre, spesso viene sottovalutata l’importanza di verificare quegli elementi che gli permettono di raggiungere l’obiettivo. È molto importante che tra allenatore e giocatore ci sia un rapporto tale per cui il secondo si senta in grado di dire: “Io questa cosa non la so fare”. Fermiamoci, formiamo la persona e ripartiamo insieme. Si perderà un po’ di tempo, ma è tutto tempo investito»
E se si fallisce l’obiettivo più volte consecutivamente? «Significa che ci siamo dati un obiettivo troppo ambizioso. Serhij Nazarovyč Bubka, il più grande atleta di salto con l’asta, era arrivato alle olimpiadi di Barcellona con già sei record mondiali. Era stanco, e aveva sistemato sin da subito l’asta a una grande altezza, in modo da vincere velocemente, senza dover proseguire a fare molti salti e risparmiare energie. Ottenne tre nulli che compromisero le sue Olimpiadi».
NO ALLA CULTURA DELL’ALIBI
Prima ancora, però, di scegliere degli obiettivi, bisogna guardare a monte, e verificare che in azienda non si sia già diffuso il peggiore dei virus, ovvero: la cultura degli alibi. La tendenza a cercare e trovare sempre la ragione per cui una cosa non si è potuta fare.
«Quando c’è un fallimento e non si raggiunge un obiettivo, ho notato che spesso non si cercano le cause, ma i colpevoli. Pensiamo al mondo del calcio: quando un giocatore perde palla e l’avversario segna il punto, è forse quel singolo giocatore il colpevole? No, perché l’errore individuale può capitare. Se uno commette un errore, tutta la squadra deve essere in grado di intervenire».
Gli alibi possono arrivare sia dall’esterno (ad esempio dalle condizioni storiche o culturali), sia dall’interno (le dinamiche dell’azienda, del management…).
«Nella pallavolo, ad esempio, tutti sanno che non bisogna mai dare la colpa ai compagni: se l’attaccante riceve una brutta palla e fa un gesto all’alzatore che significa: “Dammi la palla più vicina e alzamela di più”, vuol dire: la palla faceva schifo. L’alzatore allora si gira verso i ricevitori e dice: “Se lui la vuole così, io devo ricevere la palla qui, davanti a me, così posso dargliela bene”. A quel punto i ricevitori non sanno cosa fare, perché a loro volta dovrebbero dire all’avversario: “Batti una palla facile”. Allora, durante una partita, può capitare che la tenda della finestra non sia stata ben chiusa e si finisce per perdere la partita, dando la colpa al bidello che non ha fatto bene il suo lavoro in palestra».
Uscire dall’impasse si può: «Usiamo tutta l’energia mentale che abbiamo per identificare la situazione. La palla arriva “bassa e staccata dalla rete”? Bene, concentriamoci e apriamo la giusta cartella mentale in cui sono contenute le informazioni che ci permettono di affrontare “bassa e staccata dalla rete”. Inutile aprire la cartella “palla perfetta”: non è quella che sta arrivando. Dobbiamo sempre trovare la soluzione giusta, adatta allo specifico contesto».
LA SITUAZIONE QUI E ORA
«Un aneddoto: quando ero giovane, giocavo in una squadra che vinceva tutti i campionati dell’Argentina. Avevo 18 anni, e non avevo la minima idea delle cose che vi sto raccontando ora, di come si trattano i compagni di squadra o di chi sia un leader. In uno di questi campionati si giocava sulla sabbia e, durante una partita, mi sono arrabbiato con il mio compagno perché perdeva tutte le palle buone. La sua scusa era: “C’è la sabbia, non riesco a saltare come in palestra!” Allora gli risposi: “Senti, siamo in spiaggia. Questa è la realtà: la sabbia, il vento, il sole. Non è palestra, bisogna sapersi adattare.”
Quante volte ci siamo sentiti rispondere: “C’è la sabbia”? È un grande alibi che ci impedisce di imparare. Dobbiamo dire invece “Questa è la situazione in cui mi trovo e io devo saper trovare la soluzione”.
Consiglio pratico: «Solitamente chiedo ai miei giocatori di combattere contro uno dei loro limiti. Uno e uno solo. Solo se propongo di migliorare una cosa alla volta, il giocatore sarà in grado di farlo. Come decidere a cosa dare la priorità? Valutando quale aspetto permetterebbe ad uno specifico giocatore di fare un salto di qualità. In questo modo si innesca un meccanismo virtuoso, perché migliorando in un aspetto tecnico, si prende fiducia in se stessi e si è più motivati a continuare il cambiamento. Vincendo la sfida contro un difetto, il giocatore ottiene due cose: una vittoria personale e una vittoria contro le proprie difficoltà».