Fondamentali del business


Sebastiano Zanolli Sebastiano Zanolli

Dal volume N° 24

COME VENDI QUANDO VIAGGI?

SEI CONSAPEVOLE CHE PIÙ LONTANO TI SPINGI, PIÙ LE POSSIBILITÀ DI FALLIRE AUMENTANO? CHE OGNI MINUTO DEL VIAGGIO È FUNZIONALE ALLA VENDITA? CHE NON TORNERAI A CASA UGUALE A PRIMA?

 

Viaggiare per vendere è uno sport da professionisti. Ho visto più persone piegate dai chilometri che dai “no” dei clienti, ma soprattutto ho visto schizzare alle stelle il tasso di fallimento della vendita stessa.

Viaggiare significa uscire dalla trincea per affrontare la terra di nessuno, quella terra densa di reticolati e sotto il mirino di cecchini implacabili. Viaggiare significa, in essenza, affrontare l’ignoto e abbandonare il tepore del nido. Ma non è solo uno spostamento del corpo fisico. Magari lo fosse. In quel caso non si viaggia per vendere, ma per visitare o supervisionare. No, il venditore viaggiatore lancia verso il fuori il suo cervello e la sua anima senza la sicurezza che torneranno a casa uguali a prima.

Viaggiare per vendere significa, poi, prendere il toro per le corna, affrontare una stanza sconosciuta ed esporsi al rischio dell’improvvisazione. Quando viaggi, devi per forza ritrovare quel senso dell’improvvisazione che, naturalmente, ci ritroveremmo dentro in quanto specie animale costretta a fare i conti da sempre con la mutabilità delle condizioni ambientali. Ecco, un venditore viaggiatore moltiplica per migliaia di volte la possibilità che le sue certezze, le sue abitudini, le sue strutture, i suoi schemi vengano divelti e scombinati dall’imprevedibile mutevolezza del mercato e dei comportamenti dei clienti.

Ho viaggiato davvero tanto per vendere e non mi sono sempre divertito, ora però mi accorgo che accumulando viaggio su viaggio, esperienza su esperienza, mi sento più forte.

Non più bravo, ma più forte sì.

Quando viaggi per vendere impari ad accettare che le cose sono come sono.

I ritardi degli aerei sono come sono.

Le prese della corrente inglesi sono come sono.

I lavori stradali fatti alle ore più trafficate sono come sono.

Gli spostamenti degli appuntamenti da parte dei clienti sono come sono... e via elencando.

Allora, se può essere utile a qualcuno, elenco qui sotto le mie tre credenze di cosa non posso fare se decido di viaggiare per vendere. Dico cosa non posso fare perché viaggiare è scomodo, e scomodo è ciò che esce dalla routine, e la routine è fare solo quello che voglio fare. Invece per rompere la routine devo rinunciare a fare cose comode.

Sono attività mentali, prima di tutto, quelle che descrivo.

Le azioni seguiranno.

Ma prima va convinta la testa.

Dunque quando viaggi per vendere, non puoi fare queste tre cose.

 

1. Non puoi vendere se non hai accettato nell’anima che più lontano ti spingi più fallirai.

Come un samurai accettava la morte prima di morire per combattere bene, anche il venditore accetta che il fallimento sia dietro l’angolo come possibile esito. Viaggiando questa eventualità aumenta. Accettarlo ti permette di vendere meglio, ma soprattutto di agire in modo da essere comprato. Capisco che possa sembrare contro intuitivo. Ma funziona. Provate.

 

2. Non puoi vendere solo a tratti.

Quando viaggi sei sempre acceso, il tuo interruttore è sempre su “on”, non esiste il gong e la pausa, altrimenti si chiama turismo, che non è un male, ma di certo non fa di te un venditore. Un turista osserva ciò che accade , un venditore viaggiatore ne trae vantaggio. Tutto quello che accade è strumentale all’azione finale. Ogni minuto passato a fare altro che non sia coerente con la vendita , che approfondimento ti porta ad allungare il viaggio inutilmente. Te ne accorgerai il giorno in cui guarderai la foto del compleanno di tuo figlio, con mamma e nonni davanti a una torta a casa, e tu nella foto non ci sei perché eri con il tuo iPad in una sala di aspetto di un aeroporto a Helsinki.

 

3. Chi viaggia per vendere non può credere che la soluzione arriverà applicando un algoritmo.

Un algoritmo è un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi. Il venditore che viaggia non segue questa strada, ma crede altresì che si possa costruire l’algoritmo a partire dal risultato. Avrei potuto scrivere che il viaggiatore che vende è flessibile, ma non sarebbe stato altrettanto esplicativo.

Altrimenti detto, la vendita si costruisce come una zattera: con i materiali che si trovano. Da questo punto di vista l’azione di vendita è più simile a una operazione chirurgica che alla fabbricazione di una macchina.

Più si vende in situazioni di variabilità, e vendere viaggiando è una situazione di variabilità per definizione, maggiore è la necessità di fare di necessità virtù.

 

Nessuno ha mai detto che vendere sia una attività per persone di cuore e volontà vacillanti: queste piccole regole personali parlano di questo. Sono regole che implicano una fiducia ferma nei propri mezzi, senza arroganza e presunzione, ma con un impassibile senso di accettazione di un destino a volte benevolo a volte tragicamente avverso. Come quello che prova un marinaio di lungo corso, come il capitano Achab alle prese con la terribile Moby Dick: “Contro di te io sto per infrangermi, o balena che tutto distruggi ma nulla vinci; fino all’ultimo ti combatto; dal cuore dell’inferno ti vibro colpi di pugnale; e in nome del mio dio ti sputo addosso il mio ultimo respiro. Affondino tutte le bare e tutti i carri funebri in un unico gorgo! E poiché a me non spetteranno, che io venga agganciato e fatto a pezzi mentre ancora ti do la caccia, benché legato a te, maledetta balena! Così io scaglio il mio rampone!” (da Moby Dick di Herman Melville).