Personal branding? Smetti di raccontartela
ANCORA PERSONAL BRANDING? SÌ, SE LO TRADUCIAMO CON “TROVARE LA STRADA”
Il colore della mia vita è sicuramente il viola, e non soltanto per le dinamiche professionali degli ultimi anni. Lo è stato da quando ho letto quel libriccino che fa ancora scuola, La Mucca Viola di Seth Godin. Il viola per differenziarsi in un mondo marrone ma anche e soprattutto per non vivere una vita marrone.
Il mio colore preferito è il viola da quando ho capito, sempre per merito di Seth, che prima di comunicare in modo viola (per farsi notare), cosa ancora più importante, bisogna esserlo. Che poi è il grande e vero messaggio del personal branding, un messaggio ancora compreso a metà.
Ciò che ci viene venduto in abbondanza, e potremmo anche farne a meno, è la parte relativa al mondo dell’apparenza. Ciò che è legato all’etimologia stretta della parola: da “branding”, tatuare, marchiare a fuoco, come si faceva con le vacche e gli schiavi.
Il regno delle apparenze: una terra di mezzo tra la comunicazione e il raccontarsela. Una tecnica di posizionamento, rigorosamente attinta dal mondo delle aziende (ma anche lì fortunatamente sta cambiando qualcosa), che potrebbe anche funzionare, ma non a lungo termine, e non se si è quel genere di persone che si fanno domande e che alla vita chiedono qualcosa di più.
Mi spiego meglio: non puoi posizionarti come un barattolo sullo scaffale del supermercato.
O forse puoi, ma è giusto?
È un nuovo, nuovo mondo di marche
Quando parliamo di personal branding, non possiamo non menzionare colui che per primo, e molto bene, lo ha teorizzato: Tom Peters.
Era il 1997, una vita fa, quando le persone sfoggiavano grossi telefoni. L’epoca degli Star Tac e di “vediamo ancora una volta Titanic” (sigh!)
Su FastCompany, dove ancora si può leggere il saggio in questione, Tom iniziava dicendo: “È un nuovo mondo di Marche”.
Intuizione ancora giusta. Quasi. Oggi è un mondo nuovo, nuovo. Di marche ma soprattutto di persone.
Valgono ancora i fondamentali, “la marca è la promessa che l’azienda/persona ti fa”, ma è soprattutto fermarsi a riflettere: cosa puoi promettere, cosa puoi mantenere, cosa è per te sostenibile mantenere.
La parola “sostenibilità” è probabilmente la differenza. Non si può continuare a pensare in termini di competizione e concorrenza e lasciarsi guidare solo ed esclusivamente dalle logiche del mercato. Diciamo che ci abbiamo provato… non ha funzionato.
Per spiegarlo sono solito fare alcuni esempi anche banali ma che penso funzionino.
Sono tre esempi che spiegano il concetto: il mondo delle possibilità è oggi ancora più vicino a quello della volontà. In un mondo in cui è possibile inventarsi/fare/vendere tutto, bisogna scegliere bene.
È probabilmente il tempo in cui è più vero che mai il detto: “Occhio a cosa desideri perché potrebbe avverarsi”.
Dalla vendita allo scopo (per vendere ancora meglio ma soprattutto vivere meglio)
Non solo sostenibilità: puoi pensare anche in termini di etica, coscienze, equilibrio vita-lavoro. Significa aspirare a qualcosa di più. Di più duraturo, più maturo, più importante.
Per una volta la comunicazione viene molto dopo. Lo diceva già Seth Godin nel libro del quale parlavamo prima: non puoi comunicare che un prodotto è straordinario, devi creare un prodotto straordinario.
È il momento di seguire il consiglio quando parliamo di persone, di personal branding e della nostra vita.
Che poi a pensarci è ciò che stanno facendo oggi le aziende, le marche quelle grandi davvero.
Più che di una Usp (unique selling proposition) è il momento di dotarsi di uno scopo. Un Mtp (Massive trasformative purpose), qualcosa che è più di uno slogan e che parla alle persone prim’ancora che al mercato.
(Altro libro degno di più di una lettura è Exponential Organizations: Il futuro del business mondiale di Salim Ismail).
Per dirla con Peter Diamandis, non è più il tempo di trovare il cavallo di troia per battere il mercato, ma il tempo di “trovare qualcosa per cui morire e vivere per questo!”
Più che di tatuaggi riconoscibili c’è oggi la necessità di fermarsi a riflettere per conoscersi, ritrovarsi, riconoscersi.
I tempi sono davvero maturi per passare da “cosa puoi” a “cosa puoi”.
Forse ci vorrà ancora un po’ di tempo per essere tutti d’accordo, forse nel dizionario inglese e nei manuali di marketing non lo troveremo mai… ma personal branding è un termine inglese traducibile anche con "trovare la strada".