Parole del business: commodity (e come non esserlo)
La paura più grande per chi fa business è di diventare, presto o tardi, una commodity, prodotto o servizio di cui, in sostanza, al consumatore non importa chi ne sia il produttore.
Grazie al blog di TedEd, scopro, però, che la parola “commodity” non ha sempre avuto questo significato. Anzi, richiamava qualcosa di positivo: “commodity” si riferiva a qualcosa “incline a dare riposo e comfort al corpo”. Un alloggio, una stanza, ma anche gli oggetti. Per esempio, ci sono testi dove, nel Seicento, ci si riferiva al dio Vulcano come a “colui che per primo scoprì la comodità del fuoco”, “commodity” appunto.
Come si è arrivati al significato moderno? Molto probabilmente seguendo gli usi e i costumi di vita nelle varie epoche: con il passare dei secoli l’uomo si è semplicemente abituato (get used to) ai prodotti e servizi che un tempo erano così rari e speciali da garantire estremo piacere. Oggi un alloggio “comodo” ci sembra il minimo, altrimenti che alloggio è? Così come molti alimenti, come il sale, che da prezioso si è trasformato in bene non necessario, addirittura “scontato” – e poco importa di che marca. L’evoluzione del termine “commodity” rivela una tendenza dei consumatori: quella di abituarsi alle “comodità” che offriamo e di sviluppare presto nuovi desideri. Il business è ciò che deve soddisfarli, restando possibilmente al passo – con il rischio, altrimenti, di morire…