Lo sai che la tua attenzione vale (soldi)?
Sì, esatto: esiste un modello chiamato “economia dell’attenzione”. E funziona molto semplicemente: i mezzi di comunicazione diffondono dei contenuti che vengono letti dagli utenti. Il tempo che gli utenti offrono per leggerli viene pagato dagli investitori pubblicitari.
Meccanismo semplicissimo, ripetiamo, ma, se ci pensate, su di esso si fonda praticamente qualunque cosa, oggi.
[A questo punto la tua attenzione sarà già calata, non per colpa tua o nostra, per quello che gli esperti chiamano “sovraccarico cognitivo”]
Proprio in questi giorni, dopo che il Parlamento ha approvato la nuova direttiva sul diritto d’autore (o copyright), è importante ricordare il peso che abbiamo sia come “consumatori” di notizie, testi, immagini e video, sia come “produttori” e aziende.
Purtroppo ci sono degli intoppi nel meccanismo: i mezzi di comunicazione puntano a rivendere agli investitori la maggiore quantità possibile di informazioni, e i contenuti tendono a diventare tutti... uguali. In più i social non producono contenuti, di per sé, ma li ospitano. Entrambe le cose generano, spesso, una qualità molto bassa dei contenuti stessi che cercano soprattutto di scatenare le emozioni (negative, per la maggior parte), i leoni da tastiera e la convinzioni negli utenti che niente di quello che trovano in rete debba avere un costo. Che tutto debba essere gratuito.
Ecco perché dobbiamo ripeterci, come un mantra: “La mia attenzione vale”. Perché saremmo più disposti a pretendere che la nostra attenzione vada a chi se lo merita. Come ricorda questo articolo di Nuovoeutile che vi invitiamo a leggere (pieno di fonti), dovremmo quasi pensare di farci pagare per il tempo che passiamo sul web e sui social. Soprattutto contando che i nostri cervelli sono ormai sovraccarichi, e ne va anche del nostro benessere mentale.
[Se sei arrivato alla fine di questa nota, grazie per l’attenzione che ci hai dedicato. Davvero]