Sarai famoso... se sarai gentile (anche con il virus?)
Parlare (ancora) di gentilezza, riconoscenza e gratitudine sui posti di lavoro può suonare ripetitivo, e anche un po’ affettato. “Sì, d’accordo. Bisogna essere gentili, ma hai presente la realtà dei tutti giorni?”. Quando le scadenze si fanno pesanti, lo stress si impenna e ahinoi, si fanno anche degli sbagli, l’ultima cosa a cui vorremmo pensare è che dobbiamo essere gentili con quel collega o quell’altro collaboratore. Viene prima la necessità di non fallire un progetto e portare a casa la pagnotta.
Ma sapete una cosa? Sì, i risultati sono importanti (ovviamente), ma senza una filosofia di base improntata sulla gentilezza:
- alla lunga (e senza aspettare tanto) i rapporti umani e professionali finiscono per deteriorarsi;
- si insinua la paura dell’errore che, guarda un po’, ci farà commettere degli errori;
- i risultati andranno a farsi a benedire.
Ahia.
Guardate che sono situazioni che viviamo tutti, in modo diverso, ma tutti. Quindi non andrei tanto a guardare l’erba del vicino – piuttosto, se fossi in voi, farei un’analisi molto umile, per vedere a che punto siete.
Partiamo da uno schema che ho trovato su Linkedin e che vorrei subito condividere (l’ho già fatto anche sui social di V+):
GENTILEZZA, PERCHÉ TUTTA QUESTA DIFFIDENZA?
Quando vedo qualcuno rispondere male o essere scortese, mi chiedo: perché? Cosa lo blocca? Quale riserve ha? Si tratta, infatti, di resistenze. Bisogna solo capire quali siano. Escludendo la possibilità che abbia una brutta giornata (ma allora saranno casi isolati), una persona ingrata o scortese è tale per dei motivi precisi.
- Non vuole apparire poco autorevole. Dunque diventa autoritaria. La gentilezza al lavoro prevede che tu riconosca il contributo di qualcun altro a quello che stai facendo. Dicendo “grazie” o manifestandolo in altro modo, stai dicendo anche “senza di te, non ce l’avrei fatta oppure “sì, ce l’avrei fatta, ma non così bene”. Certo, dovrai abbassare le barriere ed enfatizzare l’umanità al posto della meccanicità di un ruolo; il gruppo al posto dell’individualità. Se sei un bravo professionista, non c’è dubbio che tu te la possa cavare anche da solo; ma i benefici di un buon rapporto con gli altri sono innumerevoli, e soprattutto questo non preclude la tua autorevolezza. Essere autorevoli non esclude la gentilezza. Dipende sempre dagli obiettivi che ti poni: vuoi essere autoritario e irraggiungibile oppure autorevole e fonte di motivazione?
- Non vuole “ammorbidirsi”, per evitare troppa confidenza e un rilassamento generale di chi ha a fianco. È opinione di molti che un clima rilassato al lavoro finirà presto in “caciara”, e quindi addio risultati. Quello che ci dimentichiamo, spesso, è che gentilezza e gratitudine non sono il preludio dell’insubordinazione. Cretedemi, da veneta, del profondo Veneto, lo vedo tutti i giorni: ci si concentra troppo e troppo spesso sulla serietà, il lavorare tanto, l’essere sempre “abbottonati” perché dio non voglia che, lasciandosi un po’ andare, la disciplina venga meno e vada tutto a ramengo. Altra grande verità: gentilezza e gratitudine non sono nemiche della serietà. Come vorrei scriverlo a caratteri cubitali. Perché poi sono più gli effetti negativi di quelli positivi: uno stile di lavoro troppo impostato ti porterà rapidamente sulla china del pessimismo facile. Perché? Punto successivo.
- Non vuole dare i risultati dei collaboratori/colleghi per scontati – o far credere loro che tutto sia facile. C’è questa convinzione distorta che mostrarsi grati per qualcosa che gli altri fanno per noi o con noi li renderà sempre di più inconsapevoli delle fatiche che devono sopportare. Cioè: “va bene dire grazie, però a un certo punto basta che se no poi non impegnano più, tanto dirò loro grazie comunque”. C’è, però, una linea sottile che separa la gentilezza a tutti i costi e la gentilezza reale: ringraziare va al di là dei risultati. Dovremmo dire grazie sempre e comunque. Sì, hai capito bene: sempre e comunque. Se poi il risultato non è quello atteso, penseremo a come comunicarlo, ma è uno step successivo. Non possiamo pretendere di essere gentile e grati solo quando le cose vanno bene.
- Non vuole trovarsi impreparato in caso di situazioni complicate o di problemi da risolvere. Gentilezza e gratitudine sono facili da praticare quando le cose vanno bene; ma quando vanno male? C’è quest’idea che sia meglio non abituare troppo le persone al “tutto rose e fiori” e “vissero felici e contenti” e restare invece in uno stato di tensione continua, pronti al prossimo cataclisma. Ci saranno sempre clienti che si lamentano, imprevisti, flop… e saperli affrontare non dipende tanto da quanto riusciremo ad arrabbiarci con chi ne è responsabile, ma renderlo consapevole affinché non commetta più l’errore. Siamo sicuri che una densa severità di fondo aiuti nei momenti “no”? Il rimprovero ci sta, il cazziatone anche – anche se tutto è relativo, e dipende dalla gravità dell’errore, dal motivo per cui è stato commesso, e sì, anche da chi lo commette. Improntare, però, la guida di un gruppo su “occhio che se sbagli, sono guai seri” si trasforma in una profezia che si auto avvera, e presto le persone, anche le più volenterose, cominceranno a sbagliare anche se non vogliono, in una sorta di ansia da prestazione
SÌ, LA GENTILEZZA TI PORTERÀ AL SUCCESSO
Su Medium Bruce Kasanoff ha pubblicato un articolo intitolato Your kindness will lead you to success, cioè La gentilezza ti condurrà al successo. Inizia così: “Non mi impressiona chi è bravo a intimidire, lusingare, manipolare, sopraffare. No. Mi impressiona chi avrebbe il potere di fare queste cose, ma sceglie di essere gentile”. Poi sottolinea due punti importanti, anzi tre:
1. urlare e sfogarsi contro qualcuno può sembrare un segno di forza, ma non lo è; è facile lasciarsi andare all’istinto ed essere impulsivi; ma le persone forti non perdono il controllo delle emozioni. Una volta che hai perso il controllo, hai perso la battaglia;
2. “l’economia è in crisi, l’offerta supera la domanda, il tuo lavoro è a rischio, il più grande str**zo del mondo è promosso a tuo capo? Fa schifo, ma tu puoi scegliere come reagire a questi eventi. Il potere dell’essere umano sta nella reazione agli eventi”. Meglio riusciamo a farlo, più “gentilmente” riusciamo a farlo, meglio staremo noi e quelli che abbiamo attorno.
3. “La gentilezza genera gentilezza. Apre gli occhi, invece di chiuderli. È contagiosa e ti fa sentire così bene!” Costruisce ponti. Tira fuori le capacità delle persone. E fa bene a tutto il gruppo, perché rende tutti più disponibili ad aiutarsi a vicenda.
Sì, gentilezza e gratitudine ti porteranno al successo. Prova. E poi facci sapere com’è andata.