Noi e gli altri


Valeria Tonella Valeria Tonella

Dal volume N° 55

E vissero tutti felici e contenti... al lavoro

 

A molti potrà apparire inappropriato o fuori luogo parlare di felicità, gioia o anche solo di soddisfazione, a proposito di lavoro”, si legge nella presentazione del libro Il gusto di lavorare di Peter Warr e Guy Clapperton. I sentimenti più diffusi restano oggi quelli di precarietà e insicurezza; più in generale vorremmo tutti non dover alzarci la mattina per faticare, fisicamente e intellettualmente. Ma lo facciamo, spesso con insofferenza, a volte anche se quello che ci è toccato non è il lavoro dei nostri sogni.
Posto che qui non analizzeremo situazioni “estreme” (discriminazioni, sfruttamento, mancata retribuzione), la domanda che mi sono fatta è: come continuare ad amare il nostro lavoro anche quando non ci va? Anche quando diventa pesante?
Mettiamoci d’accordo, per quanto possibile, sulla definizione di felicità, uno dei concetti forse più complessi al mondo. Intendiamo la felicità come l’assenza di cose o persone negative? Oppure come autorealizzazione, il senso di “una vita compiuta, anche sul lavoro”, in cui siamo coinvolti, pienamente soddisfatti, nell’espressione di ciò che sappiamo fare? A me piace di più la seconda definizione, anche se è la più difficile da raggiungere. Ma proviamo a metterci quello come obiettivo finale (tenendo conto che è un obiettivo in continuo divenire).
A questo punto, ho individuato delle “buone pratiche”.
Partiamo da alcuni concetti.

Come puoi godere il più possibile di quello che fai?

1. Programma
Una programmazione, anche minima, ti aiuta a lavorare nei giorni in cui non ne hai proprio voglia. E arrivano. Anche se sei l’imprenditore di te stesso (forse soprattutto quando lo sei). Anche quando ami il tuo lavoro. Puoi essere remunerato a sufficienza, avere dei colleghi tollerabili o addirittura fantastici, ma entrare in tunnel di fiacchezza in cui pensi solo a mollare tutto e tanti saluti. Se hai un calendario, anche solo settimanale, delle cose da fare, sarà più facile “costringerti” a sbrigare le tue faccende. Vale sempre la regola che una cosa scritta è molto più reale di una cosa solo pensata. Metti per iscritto i tuoi impegni, segna anche entro quando hai una scadenza, poi cancellali con voluttà, quando hai finito.


2. Assumi delle abitudini
Se vuoi che la programmazione diventi parte di te, trasforma le tue mansioni in abitudini. Cose semplici: leggere dieci pagine al giorno di report; sistemare una cartella di liste clienti su Excel; parlare con i collaboratori per un tot di tempo con regolarità.
 

3. Accetta i momenti di down
Accetta che ci sarà una percentuale rilevante di giorni in cui non amerai quello che fai o non lo sopporterai proprio. Lo accennavo qui sopra: è inevitabile, come in ogni matrimonio o in ogni amicizia (almeno in quelle vere) arrivare a non tollerare la presenza dell’altro. E qui l’“altro” è il lavoro. Sei una persona ragionevole, e consapevole che lavorare bisogna; eppure poco razionalmente arriverai a odiare tutto (e tutti). Sei una brutta persona? Svogliata? No. Vuol dire che devi cambiare? Dipende. Dipende da quanto frequenti sono questi momenti di down emotivo. Sii obiettivo in questa analisi. Decidi con calma, alla luce della tua sacrosanta umanità.
Ricorda: se talvolta ti abbatti, non significa che non ami il tuo lavoro.
Corollario uno: parlane con qualcuno. Con un collega o una persona che accetta i tuoi sfoghi fino in fondo. Hai bisogno, in questi momenti, di tirare fuori tutto. Se stagnano, queste emozioni negative potrebbero davvero portarti a decisioni avventate. Dormici su e pensaci. Poi agisci. Non prima di aver capito se nell’ambiente in cui lavori o all’interno del progetto in cui sei coinvolto tu sia l’unico a sentirti così oppure no…
Corollario due: fai ogni giorno una cosa che non ti piace. Come in ogni persona che abbiamo a fianco ci sono cose che non ci piacciono, così è per il nostro lavoro. E quelle cose vanno fatte: sistemare le fatture, mettere i prodotti a scaffale, anche aggiornare il tuo blog. L’ideale, come dicevamo in uno scorso articolo, sarebbe togliersi il peso a inizio giornata. Oppure puoi spezzettare: sai che la prossima settimana il tuo commercialista reclamerà fatture e spese? Sistemane un po’ ogni giorno.


4. Non escludere dei cambi di rotta
Hai letto di quel farmacista nel Bergamasco che, all’inizio di quest’anno, ha lasciato tutto per fare il birraio? O di quell’assicuratore che ha aperto una libreria di viaggi? È vero che il lavoro dice, in qualche modo, chi siamo, ma attenzione: non significa che quello che siamo sia fissato una volta per tutte. Perché non dovresti poter cambiare, se ne senti il bisogno, se hai valutato tutte le variabili? Spesso il cambio di lavoro è giudicato più un fallimento che l’investimento in qualcosa di nuovo: non sono d’accordo. Tu?


5. Tutti i giorni sono uguali, sei tu che devi darci un senso
La nostra collaboratrice Alessandra Farabegoli (lavora nel marketing digitale e nell’email marketing) ha deciso quest’anno di inviare la newsletter del suo sito ogni primo giorno del mese, nonostante almeno per tre mesi su dodici, sia o un giorno festivo o… un pesce d’aprile. Ma qual è il giorno migliore per inviare newsletter? Ne esiste uno? O forse non è tanto il quando facciamo qualcosa, ma il come lo facciamo?
Tutti i giorni sono potenzialmente uguali, perché abbiamo una routine e delle cose che richiedono costanza. Ma la ripetitività è un male? Dipende. Ricorda che fare il tuo lavoro tutti i giorni ti permette di padroneggiarlo sempre meglio, di diventare più competente. La famosa “esperienza” di cui tanto si parla e che spesso non viene valorizzata (ahinoi). Tutte le ore e le settimane che dedicherai a un lavoro non le perderai più: faranno parte di te e del tuo bagaglio.

6. Abbiamo un cervello e un corpo che chiedono di essere usati
“Il lavoro è la nostra sanità mentale”. Pensa, lo ha detto Henry Ford. Già allora, e poi durante la Grande depressione americana, si vedevano gli effetti che la disoccupazione ha su un essere umano, ma anche i pensionati moderni talvolta soffrono un senso di vuoto e si reinventano con ruoli alternativi.
Il lavoro ti tiene impegnato, ti fa “fare qualcosa” e sì, riempie le tue giornate. Ti fa fare cose che altrimenti non potresti fare. Come sarebbe una vita senza lavoro, ci hai mai pensato? Rilassante le prime settimane, i primi mesi, forse anche i primi anni, ma poi? “C’è anche un altro aspetto da considerare: le richieste stimolate da un lavoro possono tirarti fuori da te stesso e ridurre le preoccupazioni che potrebbero crescere se tu te ne stessi seduto senza far niente” (ancora dal libro Il gusto di lavorare).


7. La serenità ti rende efficiente
Indagini psicologiche svolte in molti Paesi hanno confermato l’associazione tra sentimenti positivi e prestazioni. La felicità aumenta la produttività. Vero che, se il tuo lavoro non ti piace, ha senso che tu abbia interesse a cercarne un altro… ma non sempre è così. Il tuo lavoro può piacerti anche se hai dei momenti di fiacca. Ti può essere utile ricordare però che, se sei entusiasta o provi soddisfazione, ciò si tradurrà in un lavoro meglio eseguito.
Consiglio pratico: nei momenti “no” ricordati come ti senti quando sei soddisfatto di te e del tuo lavoro o quando hai dei buoni risultati: attingi a quella sensazione positiva ogni volta che ti senti giù o stanco.

8. Ricorda che sei utile
Per quanto difficile, faticoso, a volte ingrato, il lavoro ci dà uno scopo nella vita. Il classico motivo per “alzarci dal letto tutte le mattine”. Ma non solo. Quello che stai facendo ti rende parte del mondo là fuori, e, più in un piccolo, di un team, di un gruppo. Se qualche volta te lo dimentichi, parlane con un collega o con un collaboratore e fai riaffiorare quel senso di appartenenza di cui abbiamo bisogno come esseri umani.


9. Non sei un’isola
“Le persone con uno stato d’animo positivo vengono trattate dagli altri in maniera più amichevole e aiutate maggiormente. (…) Tendiamo a restituire quello che riceviamo”. Non farlo solo per te: fallo anche per quel collega/collaboratore o per quei colleghi/collaboratori a cui tieni e che vuoi spalleggiare lì, sul campo, tutti i giorni. Te ne saranno grati (forse non tutti, quelli che contano, sì) e saranno disponibili nei tuoi confronti se avrai bisogno di loro. “Se sei un manager, sarai indubbiamente interessato alla tua felicità personale, ma potresti dimenticare quanto le tue decisioni quotidiane incidano sulla felicità o infelicità dei tuoi dipendenti” (o collaboratori).

LESSON LEARNED
10. “La maggior parte di noi non può evitare di lavorare, quindi cerchiamo di goderne il più possibile”.