Stili di lavoro


Flavio Cabrini Flavio Cabrini

Dal volume N° 53

Tempo: più ne hai, più ne perdi (e altri leggi molto vere)

 

E ALTRE LEGGI SUL TEMPO
PER RIVALUTARLO COME RISORSA

Benjamin Franklin è il “papà” di molte invenzioni, dal parafulmine alle lenti bifocali, ma è curioso come prevalentemente venga citato come autore della frase che aprì un suo saggio pubblicato nel 1748, Remember that time is money: la frase è, lo avrete capito, “il tempo è denaro”. Il tempo si spende, si guadagna o si spreca esattamente come si fa con il denaro, e il concetto, così come fu espresso da Franklin (il cui faccione spicca ancora sulle banconote da cento dollari) è diventato proverbiale un po’ in tutte le lingue: il detto giapponese “Toki wa kane nari”, ad esempio, è una trasposizione letterale.

Che tempo e denaro siano parenti stretti tuttavia lo avevano già fatto intendere in tanti: da Shakespeare, in un dialogo della Dodicesima notte (“Voi dissipate quel tesoro che è il vostro tempo” è una delle battute del secondo atto) a Leon Battista Alberti nei suoi quattro Libri della famiglia (dove ci si imbatte in una lunga dissertazione sull’importanza di non sprecare né tempo né denaro). All’incirca 2.500 anni fa, addirittura, il filosofo greco Antifonte sentenziò che “di tutte le spese, quella del tempo è la più costosa”.

Se c’è una categoria consapevole che il tempo è denaro, di sicuro è quella dei professionisti del commercio. E in particolare palpabili riscontri li hanno coloro che rientrano nella cerchia che l’Istat tuttora classifica come venditori a domicilio (che vanno cioè a incontrare i potenziali clienti là dove sono) e come venditori a distanza (ossia che operano contattando i potenziali clienti per via telematica).
In The effective executive, pubblicato nel 1967 e ancora di straordinaria attualità, Peter Drucker arrivò a dire che la cosa più importante che si può gestire non sono le persone o i budget, ma il tempo:

“È la risorsa più scarsa, se non è gestita, non si può gestire nient'altro"

Figuriamoci se si tratta di vendite e di clienti. Il guaio è che, oltre che scarsa, il tempo è una risorsa non rinnovabile: comunque se ne sia andato, niente e nessuno può restituircelo più, quando è trascorso.

Esistono metodi e strumenti per il cosiddetto Time Management, assurto ormai al ruolo di disciplina con corsi nelle più prestigiose università. Qui però voglio soffermarmi su quattro leggi che a mio avviso offrono una serie di spunti di riflessione per fare del tempo un uso più proficuo.

LEGGE DI PARKINSON
Si tende a utilizzare per un’attività non il tempo necessario, bensì quello che si ha a disposizione

Per ciascuno di noi una settimana è di 7 giorni, 168 ore, 10.080 minuti e 604.800 secondi. E per ciascuno di noi si rivela puntualmente un contenitore dentro il quale il tempo è venuto a mancare per qualcosa che pure figurava nei nostri propositi inderogabili. Ebbene, quasi mai succede perché il contenitore è insufficiente; succede, semmai, per una colpevole dimenticanza o più frequentemente perché a qualcos’altro si è concesso più spazio di quanto sarebbe stato necessario.
Cyril Parkinson, uno studioso britannico, espose quella che è universalmente conosciuta come la sua legge in un saggio satirico del 1958, traendo la conclusione che più tempo a disposizione si ha, più se ne spreca. Se non ci si dà una deadline, anche un semplice pit stop – come una innocente pausa caffè – rischia di sottrarci un numero imprecisato di minuti preziosi. Perché tenersi libera un’intera mattina per sbrigare una questione che si è in grado di risolvere in un’ora?
Fateci caso: quando i tempi sono stretti, siamo più attivi e concentrati, quindi più efficienti ed efficaci. Se non si fissa un limite di tempo, ad esempio, il controllo della posta elettronica può risultare molto dispersivo. Eppure le statistiche avvertono che non più del 4% delle email esigerebbe una risposta rapida. Il resto può attendere.

LEGGE DI MURPHY
L’esecuzione di un lavoro dura più tempo di quanto si poteva prevedere

La prima agenda della storia è stata stampata nel 1812 a Londra, e la Letts, l’azienda che l’ha creata, ne produce tuttora 22 milioni di vari esemplari all’anno che vengono commercializzati in 75 Paesi. Agenda è un termine preso di sana pianta dal latino e significa “cose da fare”, ossia la cosiddetta “task list”. L’agenda è lo strumento principe della pianificazione. Nel lavoro da gestire, tuttavia, non c’è soltanto ciò che si è pianificato, ma spesso, ed eccome, l’imprevisto.
Edward Murphy fu un ingegnere aeronautico statunitense il cui pensiero si riassume nella constatazione che “se qualcosa può andar male, lo farà”. Non è scontato che succeda, ma è comunque una eventualità. Insomma, gli inconvenienti sono sempre in agguato.
Più un’agenda è zeppa di impegni e più è facile che una quota rimanga inevasa. Programmare va bene. Se lo si fa però in modo ossessivo e maniacale, con la pretesa di ficcarci dentro anche quello che umanamente non ci sta, si compie uno sforzo che si riduce a una sterile perdita di tempo. Se vuoi che sia una risorsa e non un vincolo, pianifica il 60% del tuo tempo: quel 40% che tieni di riserva, ti servirà a fare del tuo meglio.

 

Meglio svolgere un'attività in modo continuativo o prendendosi delle pause? Ma è vero che, oltre a una certa soglia di lavoro, tendiamo a essere sempre meno produttivi? Flavio Cabrini risponde a queste domande sul nuovo numero di V+: ordinalo qui e leggi l'articolo completo.