La differenza tra mi sento e mi fai sentire: litigando, si impara
In una “disputa felice” (come la chiamerebbe Bruno Mastroianni) le parole che scegliamo fanno un’enorme differenza.
Un esempio sono le emozioni e i pensieri che passano tra l’espressione “mi fai sentire” e un’altra, “mi sento”.
Nel primo caso, diamo la responsabilità all’altro: gli passiamo la palla di quello che proviamo, tant’è che il soggetto (benedetta analisi logica), cioè l’esecutore dell’azione, è “tu”. “Tu mi fai sentire così”, “è colpa tua” o “è merito tuo”, “io sono solo l’oggetto”. Non è che non vada bene: se davvero una persona ci spinge a uno stato emotivo preciso, dobbiamo farglielo sapere. Ma per evitare la “disputa” e trasformarla in “disputa felice” (sempre alla Mastroianni), è molto, molto preferibile scegliere meglio le parole, e sostituire “mi fai sentire così” con “mi sento”. Cioè “mi sento così, e voglio capire con te da dove vengono queste emozioni”. Non è detto che la fonte sia l’altra persona (e comunque io sono d’accordo con la frase “la realtà non è ciò che ci succede, ma cosa reagiamo a essa”). Dicendo “mi sento”, non attacchiamo nessuno. L’altro non si metterà sulla difensiva, e insieme – forse – troverete il bandolo della matassa. In fondo a noi cambia poco, ma può cambiare molto nel confronto complessivo.
Prendi questa pillola assieme a: La disputa felice, Bruno Mastroianni, Franco Cesati Editore (è appena uscito, per la stessa casa editrice, anche Litigando si impara).