Le parole del business da dimenticare: calendarizzi o impatti?
LISTA DI PAROLE DA NON PORTARE NEL 2022
PERCHÉ LE USIAMO TROPPO O MALE
“Sta succedendo davvero?”. I dialoghi del film evento di fine 2021, Don’t look up, sono, a tutti gli effetti, dei non-dialoghi: i due astronomi che hanno avvistato la cometa diretta sulla Terra (Leonardo di Caprio e Jennifer Lawrence) comunicano molto chiaramente la notizia alla presidente degli Stati Uniti (Meryl Streep) e ai media; ma non vengono capiti. Anche dopo aver specificato che la collisione avverrà in un tempo preciso (entro 6 mesi e 14 giorni) e che ciò causerà terremoti di magnitudo dieci, tsunami alti un chilometro e l’estinzione della specie umana, nessuno li prende sul serio. Tutti continuano le loro quotidiane (e, in vista di un’apocalisse, inutili) attività. “Sta succedendo davvero?”.
Gli astronomi danno un messaggio chiaro, sono i destinatari il problema: le risposte vuote delle autorità, dei miliardari che sentono ma non ascoltano, parlano (parlano, parlano), ma non dicono.
Giorni dopo, trovo un post del gruppo Facebook “La lingua batte” di Radio Tre dove un’utente chiede: “Quali sono le parole che non vorreste portare nel 2022?” Anno nuovo, linguaggio nuovo? Perché no? Considerando che riusciamo a comunicare male anche una catastrofe ben definita (da dati, non da opinioni), facciamo, allora, una analisi delle parole che usiamo (specie sul lavoro) e di quelle che sarebbe meglio non usare più?
Due sono i casi:
• le usiamo male, perché “così fan tutti”, e il significato vero si è perso;
• le usiamo troppo, non dicono più niente, rovinano e confondono la comunicazione… o semplicemente annoiano!
Quelli che seguono sono umili suggerimenti. Trovate anche quelli della “direttora” di V+ Se ne avete altri, condivideteli con noi sui social o scrivendoci in redazione. L’argomento è succulento!
Attenzionare
È da anni che la Crusca viene chiamata in causa sulla legittimità del verbo “attenzionare”. Negli anni Ottanta un dizionario lo definisce il “mostricciatolo del lessico burocratico”, e non sono in molti a sceglierlo, ma succede: “Ti attenziono questa pratica”. Lo so, urta! È cacofonico, suona malissimo. Ma è entrato nel linguaggio d’ufficio e amministrativo (e anche nelle pagine di alcune quotidiani…); forse perché la corrispondente espressione “sottoporre qualcosa all'attenzione di qualcuno” è troppo lunga per le comunicazioni frenetiche dei nostri tempi. Non saprei spiegarmelo altrimenti.
Calendarizzare
Sembrerebbe un cugino di “attenzionare”; ma non lo mettiamo alla gogna, perché è un verbo formalmente corretto, derivante da “calendario”. È, però, un caso di “troppo uso”: calendarizziamo tutto. Gli appuntamenti, le riunioni, le sedute parlamentari (il parroco del mio paese calendarizza le sante messe…) Sostituiamolo: cos’ha che non va il vecchio “programmare”? O l’espressione “mettere in calendario”?
Comfort zone
Tutti, almeno una volta, abbiamo inserito tra i buoni propositi quello di “uscire dalla comfort zone”. Ci fa sentire dei pionieri: usciamo dal conosciuto, per esplorare l’ignoto. Arriva una crisi? Formatori e guru ci spronano a… uscire dalla zona di comfort. Pandemia? “Cambiate i modelli di business, uscite dalla zona di comfort”. Cambi lavoro? “Esci dalla…!” È un concetto molto bello e motivante, se non che ormai lo leggiamo ovunque; lo ascoltiamo in qualsiasi discorso. Esprimetevi in modo alternativo: spiegate davvero cosa consigli di fare per migliorare, guadagnare di più…). Lasciate stare la zona di comfort. Che poi: non credo che la zona di comfort sia il male assoluto. “Sperimentare bassi di livelli di stress e ansia e risultati costanti” è auspicabile, talvolta. Non è solo divano e Netflix. A volte siamo così bramosi di “uscire dalla comfort zone” che facciamo dei salti nel buio senza riflettere abbastanza o nel momento sbagliato. E comunque, se abbandoniamo di troppo la comfort zone, finiamo nella “danger zone”. Così, per dire…
H24 (e simili)
“Offriamo questo servizio H24”. Anche qui: forse “24 ore su 24” prende troppo spazio negli slogan aziendali, però si trova dappertutto, soprattutto nelle conversazioni per le quali, invece, possiamo (dobbiamo!) prenderci il nostro tempo. Il colmo è quando qualcuno mi dice, parlando proprio, “abbiamo turni 24/7” (ventiquattrosette tutto attaccato). Non vi sembra di ascoltare un robot?
Impattare
Non è che “impattare” (con il significato di “avere un impatto” o un effetto) sia sbagliato. Però nu se po' più sentì. Ogni volta mi immagino un grande meteorite che “impatta” sulla Terra (sarà colpa di Don’t look up). Deriva dall’inglese “impact”, “urto”, “effetto violento”. I primi a usarlo sembra siano stati i giornalisti degli anni Cinquanta per descrivere gli effetti della bomba di Hiroshima. Per estensione, è nato il significato di “forte effetto, influsso, impressione”, assieme all’aggettivo “impattante” (che, se possibile, mi dà ancora più i brividi).
Quindi? Quindi questo è uno di quei casi in cui non posso dirvi “è sbagliato”, perché non lo è. Ma già negli anni Ottanta qualcuno fece notare che “c’erano impatti di ogni genere. Impatto ambientale, impatto della politica sulla Borsa, dei rincari sui consumi, delle inchieste sulla malavita, degli scioperi sui servizi, della realtà sui giovani. Di tutti contro tutti”. Mo’ basta! Ci sono tanti bei sinonimi: “influenzare”, “avere effetto su”, “avere delle ripercussioni”. Prendono un po’ più di caratteri, ma pazienza. L’importante è che non… impattino.
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