Meno di così si muore
QUANDO UN’ATTIVITÀ O UNA RELAZIONE IMBOCCANO LA VIA DEL DECLINO? UN SEGNALE C'È
Ridurre ai minimi termini in matematica corrisponde alla cosiddetta semplificazione di una frazione. Si tratta di trovare il massimo comune divisore del numeratore e del denominatore, che stanno rispettivamente sopra e sotto la barra. Una volta che è stata semplificata ai minimi termini, una frazione diventa irriducibile. In ordine di grandezza, insomma, meno di così non si può fare.
Perché ne parlo? Perché quando un’attività o una relazione scivolano verso la soglia del minimo irriducibile è perché si è inesorabilmente imboccata la via del declino. Il minimo irriducibile, potrei dire anche il minimo indispensabile, è quel poco che si ritiene di dover fare per giustificare – quasi sempre, e questo è il guaio, sentendosi con la coscienza a posto e in pace con se stessi – uno stipendio, un ruolo, una responsabilità o anche la continuità di un rapporto o di un business.
Un matrimonio nel quale uno dei coniugi si adagi sul minimo irriducibile non è destinato a durare a lungo. Uno sportivo che si accontenti del minimo irriducibile non può ambire a migliorare le sue performance. Un’azienda, quale che sia la sua rendita di posizione, che si limiti al minimo irriducibile rischia presto o tardi di uscire dal mercato.
Tutto va bene (madama la marchesa)
Quand’è che in un’organizzazione o in un venditore il minimo irriducibile diventa la norma?
L’assuefazione è strisciante, a volte perfino inconsapevole. Può dipendere dalla resistenza al cambiamento oppure da un crollo della motivazione. Ci si sente arrivati e ci si culla sugli allori. Oppure ci si scopre inadeguati o rassegnati di fronte a risultati inferiori alle aspettative. In questi casi subentra la logica del “non si può fare” o del “chi me con il messaggio “Come posso aiutarti?” o del "chi me lo fa fare?” e ci si rannicchia nella zona di comfort, come una tartaruga che si rinchiude nel suo guscio o uno struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia.
La legge del minimo irriducibile
Ogni comportamento ha le sue conseguenze. Applicato alla gestione commerciale, il minimo irriducibile ne ha due che hanno assolutamente forza di legge. Potrei definirli i due commi della legge del minimo irriducibile.
1. Un qualsiasi venditore che non sia adeguatamente formato e preparato a svolgere con competenza le proprie funzioni tenderà a limitare la propria operatività al minimo irriducibile.
2. Ne deriverà un drastico scadimento qualitativo del risultato prodotto che causerà nel medio e lungo periodo un impoverimento finanziario per lui stesso e per l’azienda.
Il minimo irriducibile è un virus. Quando in un contesto ambientale entra, per così dire, in vigore la legge del minimo irriducibile, ne subiscono il contagio anche i soggetti più motivati ed efficienti, che ne vengono fagocitati.
Gli effetti sono ancora più evidenti e marcati nelle attività dinamiche. E la vendita appartiene a pieno titolo a questa categoria. Un venditore che si limita al minimo irriducibile finirà per trasformarsi in un semplice raccoglitore di ordini, un ruolo che oggi non ha davvero più ragione di esistere: le moderne tecnologie sono in grado di assolverlo meglio e con estrema tempestività e puntualità. Tanto varrebbe allora ricorrere a un software piuttosto che a un essere umano.
Venditore: meglio virtuoso che virtuale
Forse non è lontano il giorno in cui nei negozi avremo macchine in grado di accogliere il cliente con il fatidico e rituale “May I help you?” e programmate per il “sense and respond”. In fondo non è nulla di rivoluzionario: sugli iPhone qualcosa del genere lo fa già Siri, l’applicazione vocale che reagisce alla semplice pressione di un tasto con il messaggio “Come posso aiutarti?” e poi fornisce risposte a vari tipi di richieste. Ciò che fa Siri però è il minimo irriducibile. Esattamente e indiscutibilmente il minimo irriducibile.
Per quanto le future generazioni di macchine possano risultare sempre più “intelligenti”, resteranno comunque prive di personalità. Ciò che la tecnologia non potrà mai replicare è il fattore umano. Era il 1990 quando Jim Cathcart pubblicò Relationship selling, spiegando quanto sia fondamentale per aver successo nel campo delle vendite la costruzione di un rapporto. Quel concetto oggi è ampiamente acquisito e condiviso.
Cos’è che decreta la supremazia dell’uomo rispetto alla macchina? In primo luogo i sentimenti e le sensazioni. Ovvero l’interesse verso l’altro, la comprensione dei suoi effettivi bisogni, la capacità di cogliere uno stato d’animo, di gestire accordi, disaccordi o conflittualità. Cioè quelle chiavi che consentono all’uomo di entrare in relazione con i suoi simili e che la macchina non possiede. Poi mettiamoci pure la progettualità, la creatività,
l’intraprendenza. Fateci caso: messo tutto insieme si tratta di tutto quel di più che, proprio come avviene in matematica nel semplificare una frazione, viene soppresso quando un’attività o una relazione si limitano al minimo irriducibile.
Un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno. (Albert Einstein)