I vocali su Whatsapp sono il male?
La nostra “direttora” mantiene saldo il suo proposito di non usare Whatsapp: sarebbe comodissimo, specie per una redazione sempre in smart working come la nostra. Ma c’è della diffidenza. E se stiamo riuscendo a portarla su Instagram, non la sfangheremo tanto facilmente con Whatsapp.
Già i gruppi sono qualcosa di deleterio, ci si sono messi pure i messaggi vocali.
I messaggi vocali sono belli perché riducono i disagi da pollice da smartphone, ma soprattutto ci levano lo sbatti del contraddittorio.
Quando mandiamo un messaggio vocale, se il destinatario lo ascolta, possiamo sperimentare l’effetto della conversazione ideale: tu parli, l’altro ascolta. Meraviglia. Non scontata, ormai.
C’è questo “librino” (-ino solo perché sottile, per contenuti tutt’altro) che ha scritto la formatrice e Youtuber Irene Facheris, lo abbiamo recensito sull’ultimo numero di V+, e si intitola Creiamo cultura insieme, 10 cose da sapere prima di iniziare una discussione. Nella lista c’è anche l’ascolto, questo muscolo atrofizzato che non sappiamo usare (o che pensiamo di saper usare) ma che in realtà ci mette nella stessa condizione in cui ci troviamo quando impariamo a guidare. Siamo goffi. E siamo goffi anche nell’ascolto, perché prevede l’empatia, e cioè, bellissima definizione, “la capacità di comprendere lo stato d’animo dell’altro senza averlo provato” (che spesso è ciò che ci viene richiesto nella vendita).
I messaggi vocali sempre più lunghi che viaggiano su Whatsapp sono una disperata richiesta di ascolto: l’altro non può interrompermi, e, se vuole sapere dove vado a parare, deve ascoltarmi fino in fondo, almeno per darmi poi una risposta coerente. Se anche tra i più giovani i vocali hanno sostituito i testi (e infatti li vedi, con il telefono in mano, in orizzontale, a parlare da soli), deve esserci sì, una ragione di praticità (faccio prima), ma non solo. Gli esperti parlano già di “nuovo codice comunicativo”, perché un messaggio vocale è come il messaggio in segreteria (ancora più rapido):
- posso parlare senza essere interrotto;
- posso “liberarmi” e dire qualcosa che ho paura di dire in faccia.
In più c’è la chiarezza: a differenza di un messaggio scritto, non hanno bisogno di emoticon o altre sottolineature per esprimere il tono, l’intenzione. Pur con la barriera di protezione che una telefonata non dà.
Certo i vocali diventano molesti se:
- durano troppo;
- vengono inviati uno dietro l’altro (a quel punto chiamami!);
- non hanno nessuno utilità e disturbano soltanto.
Unite poi gruppi e vocali e... boom.
Ma.
Se li usiamo con coscienza, anche i vocali hanno una loro ragion d’essere.
“Ascoltare un’altra persona ci permette di sospendere il nostro giudizio su di lei, conoscerla più in profondità, magari aiutarla a risolvere un problema”.
I più puristi potrebbero ribattere: “Ma allora non è meglio una telefonata?” Sì. Ma perché na cosa deve escludere l’altra?
E quando rispondete ai vocali, cercate di:
- riformulare (“Mi dicevi che...”, “Mi stai dicendo che...”), usando quanto più possibile le parole dell’altro, così che lui si riascolti e crei uno spazio tra sé e ciò che gli sta succedendo (spazio che le emozioni ci impediscono di creare);
- comprendere, anche senza condividere (ridare indietro il punto di vista, senza per forza essere d’accordo);
- interessarvi sinceramente.
Tutte cose valide per una conversazione “normale” e anche quando commentate online. Regole applicabile ovunque ci sia un confronto. E affinché non ci sia un discussione. Non abbiate timore a “bannare” qualcuno se tende a strafare: i vocali sono una cosa seria. O possono esserlo.
Dunque: Sii la persona che vorresti incontrare. (Cheri Huber)
O che vorresti che ti mandasse il prossimo vocale.