Risentimento: perché il cliente ci odia (e noi odiamo lui)
"Il risentimento è il mood dominante della nostra epoca. Sempre più spesso gli individui provano un senso di animosità verso gli altri, verso il mondo in generale – livore, astio, ostilità, odio, inimicizia, invidia, malignità, acredine, malevolenza, accanimento, vendetta –, come risposta a offese, affronti o frustrazioni che ritengono di aver subito. Ritengono, ma non è detto che sia davvero così, o che sia accaduto nel modo in cui gli individui suppongono e manifestano agli altri. Sempre più spesso accade che le persone covino un’avversione. Si tratta di un sentimento lungamente coltivato che poi esplode all’improvviso, inatteso anche agli stessi protagonisti".
Lo scrive Marco Belpoliti su Doppiozero.com, lo scrivevo su V+: la gentilezza non è cosa di questo mondo, almeno sembra. Non abbiamo tempo per essere gentili.
Per chi fa Servizio clienti, è un tema centrale: quante volte abbiamo provato risentimento verso "il cliente"?
La tentazione di generalizzare e di creare un'unica, grande categoria è forte, tanto forte che lo facciamo: "il cliente" ci rovina le giornate, e non resta che provare risentimento verso di lui.
Secondo l'etimologia (e il vocabolario), il risentimento è "lo stato d’animo di chi è risentito, cioè irritato contro qualcuno a causa di un rimprovero, o di un altro atto o comportamento, ritenuto ingiusto o offensivo".
La domanda da farsi è: perché riteniamo che il cliente sia ingiusto nei nostri confronti? E quando?
Nel risentimento si riversano sentimenti molto diversi: si va dal rancore all'invidia.
L'invidia è interessante: "invidere", "guardare male". L'invidioso è uno che non vede bene, dunque non è obiettivo.
Siamo talmente invidiosi del cliente, perché lui si trova in una posizione di forza, perché lui "ha sempre ragione", perché "lui può", da sentirci sopraffatti; e, quando siamo clienti, ripaghiamo con la stessa moneta. In un circolo vizioso spaventoso.
D'altra parte, solo il 31% degli italiani dichiara di essere soddisfatto della propria vita, e una ragione di insoddisfazione sono le aziende, lontane, poco serie, poco responsabili (dati Eumetra Monterosa).
C'è una soluzione? Non nel brevissimo termine, ma riconquistare la fiducia, gli uni verso gli altri, è fondamentale, anche se è un processo lungo.
Nel frattempo? Dice Remo Lucchi di GFK Eurisko da BusinessPeople: "Le aziende possono intraprendere quattro strade. Innanzitutto, creare un contesto lavorativo differente, molto più orizzontale ed alleato, senza logiche gerarchiche e di contrapposizione. Poi puntare sulla continuità lavorativa abbandonando il ricorso alla mobilità come soluzione e investendo invece nella rigenerazione continua del business, proiettandosi un un futuro intelligente è la via da seguire Ovviamente poi produrre in modo onesto e trattare sempre i clienti in modo perfetto, tendendo a dare loro più di quanto si possano aspettare. La responsabilità sociale viene dopo: un’impresa deve prioritariamente far bene il proprio mestiere".
Insomma, quello per risolvere il risentimento che vediamo in tanti uffici o punti vendita è un percorso a due direzioni (tu e io), ma soprattutto è un doppio percorso:
- personale: sempre su Doppiozero Belpoliti ricorda una definizione di risentimento data, a quanto pare, da uno psicologo (o da un ascoltatore di una sua trasmissione radiofonica): "è come prendere un veleno e aspettare che l'altro muoia"; quel "male banale" di cui parlava Hannah Arendt; l'invidia peccato capitale per la dottrina cristiana; un'intrinseca insoddisfazione del vivere che, filosofie o religioni a parte, ci fa ammalare. Il cliente che è stato trattato male da altri; noi, trattati male come clienti o come lavoratori; nessuno ne è completamente esente. Ma è fondamentale uscire quanto prima dalla "spirale", se si vogliono costruire relazioni nel business. Ribaltare il punto di vista aiuta, sforzarsi di mettere davvero in pratica il modello win-win anche (se ne è tanto parlato, ma a fatti?). La qualità delle nostre relazioni dipende da noi, così come la nostra felicità. Partiamo da qui: dalla convinzione che dipenda da noi (c'è anche un intero Manifesto a ricordarlo!)
- aziendale: l'ambiente lavorativo è tutto, e rende un uomo o una donna di business ciò che sono. Come li formiamo? Come li abituiamo al contatto con il cliente? Chiediamoci: perché gli italiani sono addirittura "arrabbiati" con le aziende? L'Espresso titolava: Benvenuti nell'epoca del cinismo planetario. Nell'ottica del singolo, e quindi anche del singolo cliente, i "potenti", politici, ma anche grandi imprenditori e imprese, non sono "buoni", oggi, e non portano nulla di buono. Capite, allora, il risentimento, che nasce dall'incertezza, per difendersi dalla quale tiriamo fuori le unghie, per proteggere noi e i nostri soldi. Offese e torti pregressi possono essere dimenticati, ma come aziende dobbiamo fare un lavoro strenuo, a partire dal customer service. A partire dagli addetti al customer service, che non vanno lasciati soli. "Lavorare al customer care è bello, ma richiede energie e un po' di attenzioni".Un cattivo Servizio clienti è il primo motivo per cui un'azienda viene messa da parte: non ce n'è. Sì, conta la qualità del prodotto, ma non altrettanto, non abbastanza, non tanto da giustificare un cattivo rapporto con il soggetto azienda.