Quando è il momento di dire "no" al cliente
DIPENDE DA NOI MANTENERE UN RAPPORTO EQUILIBRATO E NON DI SUDDITANZA
È innegabile: siamo in un momento di forte pressione. Il cliente, anche quello fidelizzato, prima di decidere valuta più offerte o dichiara semplicemente di volerlo fare; ha tempi di risposta dilatati rispetto al passato e, prima della firma, non manca di formularci mille richieste aggiuntive. E noi come rispondiamo a queste sollecitazioni? Troppo spesso rendendoci disponibili ad accoglierle e ad accettarle, premendo sulla nostra azienda perché il cliente venga accontentato, perché l’ordine non sia appannaggio di un nostro concorrente pronto a tutto.
D’altro canto, abbiamo budget sempre più elevati, la domanda è scarsa, competitor sempre più agguerriti: non possiamo permetterci di perdere neanche un solo affare, soprattutto se consistente.
Ma siamo assolutamente certi che questa strategia funzioni? Forse è meglio rifletterci un attimo, senza che l’emotività e l’ansia da risultato ci inducano a decisioni che nel breve possono anche essere risolutive, ma che sul lungo termine ci fanno perdere potere contrattuale e soprattutto credibilità.
Se il cliente mostra interesse per la nostra offerta e avvia una contrattazione, due sono i casi: o vuole concludere, perché ritiene la nostra proposta la migliore, o cerca di ottenere le condizioni più basse possibili per fare pressione sul suo attuale fornitore o su quello che ha scelto.
Facile risolvere il dubbio con una domanda: “Dobbiamo concludere ora?” oppure “Se aderisco alle sue richieste, è pronto a sottoscrivere l’ordine in questo momento?”.
In caso affermativo, siamo certi che lui voglia comprare da noi, ottenendo il massimo possibile per far valere il suo potere contrattuale. Ogni altra scelta verso un concorrente sarebbe una soluzione di ripiego. Dobbiamo solo resistere, senza apparire troppo intransigenti.
In caso negativo, sarà sufficiente rassicurare il cliente lasciandogli intendere che, se sceglierà noi, saremo pronti a concedere il massimo possibile pur di concludere la vendita, senza formulare sul momento alcuna proposta.
Il successo di una contrattazione è frutto di una preparazione preventiva: analisi del profilo dell’interlocutore, valutazione delle sue possibili alternative e conseguentemente del suo e del nostro potere contrattuale, monete di scambio, obiettivi minimi che intendiamo realizzare, al di sotto dei quali è preferibile perdere la vendita, aspetti sui quali non vogliamo o possiamo transigere.
Rispondere negativamente a una richiesta del cliente non significa necessariamente perdere una trattativa. Da bravi negoziatori sappiamo bene che la prima fondamentale regola di una contrattazione è “mai dire no”, privilegiando espressioni che evidenzino una maggiore disponibilità, quali “volentieri ma…”, oppure richiedendo una contropartita adeguata. Se diciamo un “no” secco, mandiamo la trattativa in stallo. Tutto ciò significa che, per giungere a una conclusione, uno dei due dovrà fare marcia indietro. Perdere la faccia non piace a nessuno. Noi stessi, in queste situazioni, talvolta abbiamo optato per una prova d’orgoglio e preferito rinunciare a un buon affare per aver chiesto troppo, piuttosto che mantenere un atteggiamento accondiscendente e sentirci perdenti nel confronto dialettico.
Ma ci sono casi che ci impongono di superare la titubanza e di esporci con un “no”, senza condizioni, per riaffermare il nostro potere contrattuale, difendere la competitività e l’immagine nostra e dell’azienda che rappresentiamo. Essere succubi del cliente non paga né nel breve né nel lungo termine. Farci spremere come limoni non contribuisce a generare fidelizzazione.
Innanzitutto, razionalizziamo ogni richiesta del cliente, domandandogli se è irrinunciabile e perché. Spesso il tutto e subito del nostro interlocutore non risponde a una improcrastinabile esigenza.
Ad esempio: vuole una nostra offerta per lunedì, e il venerdì successivo ci dice che… non ha avuto tempo di leggerla! “Chiedere non è peccato e rispondere è cortesia”, recita il proverbio. Prima di dire di sì, pensiamoci due volte. Rischiamo di impegnare la nostra organizzazione in sforzi sovraumani per rispettare una scadenza o un capriccio che poi non risulta essere così rilevante per il cliente. Coccolarlo non significa fare sempre tutto quello che ci chiede.
Dipende da noi mantenere con il cliente un rapporto equilibrato e non di sudditanza, perché la relazione e il business si sviluppino con reciproca soddisfazione. Un atteggiamento coercitivo induce la controparte a fare promesse improvvide che poi non si realizzano, con conseguenti discussioni.
Talvolta le richieste del cliente sono incoerenti: esige una consegna “tassativa” per una certa data sebbene risulti cronicamente in ritardo sui pagamenti, oppure pretende il massimo sconto con un pagamento il più lungo possibile. Ma qual è l’esigenza primaria: il costo basso o la dilazione? Il finanziamento della fornitura è un elemento di costo per noi che si riflette, ovviamente, sul prezzo finale. Se lo azzeriamo, otteniamo un reciproco vantaggio.
Se il nostro interlocutore ha la percezione che qualunque cosa chiede noi gliela concediamo, avrà la consapevolezza di detenere un potere contrattuale molto più elevato del nostro, perché pensa che, dato il contesto economico, noi siamo obbligati a vendere a tutti i costi. No, non è così. E in ogni caso non dobbiamo indurlo a crederlo. Saremo lieti di averlo come cliente solo se sarà un buon affare per tutti e due. In caso contrario preferiamo rinunciare.
Riappropriarsi del nostro potere contrattuale si traduce nel dire, nel modo giusto, “No, quello che lei mi chiede non glielo posso concedere e mi dispiace perché temo che stiamo perdendo entrambi una buona occasione di concludere un affare”. O, in un diverso contesto, potremo bloccare specifiche richieste sostenendo che “possiamo essere flessibili su tutto ma non sulle condizioni di pagamento”.
Dobbiamo essere più coraggiosi senza risultare arroganti, consapevoli del nostro potere contrattuale che utilizzeremo per agire, di fronte a un interlocutore ostico, con pugno di ferro e guanto di velluto. Quando si deve dire “no” a un cliente, bisogna sempre farlo “con un sorriso”. Non spaventiamoci se minaccia. Il leone ruggisce per incutere paura a un nemico più forte o per rabbia. D’altronde, davanti a una timida gazzella, gli basta la sua ombra.