Case history


Redazione V+ Redazione V+

Dal volume N° 74

#impresedivalore: Rays, di padre in meglio - Best Value Award Marche

 

C’È UN’ITALIA IN OTTIMA SALUTE:
STEFANO MARCONI E LA SUA RAYS
UNA CASE-HISTORY AI RAGGI X


A CURA DELLA REDAZIONE DI V+ CON LA COLLABORAZIONE DI IMPRENDITORE SMART

Una delle cose che (forse) abbiamo imparato dalla pandemia è il valore che ha una precisa categoria di prodotti: i famosi o famigerati DPI, dispositivi di protezione individuale. Mascherine e guanti sono diventati per noi molto più familiari e “quotidiani” di un tempo, ma c’era chi li usava quotidianamente già prima, e molto, specie sul lavoro, trovandoli indispensabili: pensiamo agli operatori sanitari negli ospedali o nelle case di cura. Ma dispositivi di protezione vuol dire anche calzature antinfortunistiche, caschi, tute protettive, guanti di vario tipo. Letteralmente un mondo: di prodotti, di certificazioni, di ricerca e sviluppo.

Lo sa bene Rays, azienda di Osimo (Ancona), partita proprio con un focus sul medicale, che a marzo del 2023 festeggia i 30 anni dalla fondazione – e può festeggiarli bene: oggi è una realtà internazionale, presente in 42 Paesi, diventata in poco tempo un punto di riferimento nel settore dei dispositivi medici (utilizzati in oltre 1.300 tra cliniche e ospedali di tutta Italia) e dei dispositivi di protezione individuale nei settori della sicurezza e dell’antinfortunistica. Ma Rays si rivolge a centinaia di aziende e grossisti del settore della pulizia industriale e della sicurezza, farmacie ed erboristerie, oltre alle principali catene della GDO nazionale.
Una crescita importante, anche in epoca Covid: lo testimonia un fatturato, per il 2020, di 52 milioni di euro. Ma l’impatto è tale, sul territorio e gli stakeholder, che Imprenditore Smart ha premiato Rays all’interno del Best Value Award per la categoria delle aziende che hanno prodotto un valore superiore ai 100 milioni di euro.

Un progetto imprenditoriale che sprizza salute (è il caso di dirlo), frutto delle idee e dell’esperienza del fondatore Stefano Marconi, oggi presidente del Consiglio di amministrazione, con un figlio, Andrea, che ha seguito le sue orme e siede già nel CdA.


V+ lo ha voluto intervistare dopo la consegna del premio.

> Leggi anche: Abruzzo, Marche, Puglia e Umbria: le premiazioni del Best Value Award


Lei nasce come commerciale. V+ ha già incontrato imprenditori che, dopo aver iniziato nel reparto Sales, hanno poi sviluppato un’idea personale. Come è avvenuto questo passaggio nel suo caso?
Avete detto bene: ho iniziato lavorando come commerciale nella multinazionale americana Procter & Gamble: all’epoca proponevo i prodotti Pampers agli ospedali, per capirci. Poi ho fatto il “salto”: in un’altra multinazionale, la 3M, sono diventato capo area, poi dirigente, infine direttore vendite per l’Italia. Nel 1993 ho fondato Rays, e sono diventato un imprenditore.
Essere un imprenditore sicuramente implica un’assunzione di rischio: devi voler e poter rischiare, quando ti metti in proprio. Però volevo costruire qualcosa che poi sarebbe rimasto, sia per me che per mio figlio. Oggi ho 61 anni, e posso dire di amare il mio lavoro da imprenditore, e di voler continuare a farlo.

La vostra offerta include brand e prodotti diversi, dal medicale all’antinfortunistica, alla cosmesi: quanto conta l’impronta dell’imprenditore o del fondatore, per ampliare i “raggi” di un gruppo come il suo?
Quello che avevo imparato prima in una grandissima azienda multicanale – che devo ringraziare perché mi ha insegnato tantissimo – l’ho portato anche in Rays. Tant’è che il nome stesso, Rays, l’inglese di “raggi x”, l’ho scelto perché, nei miei sette anni da dipendente in 3M, ho lavorato nella divisione medicale e mi sono occupato di proporre le lastre (“X-ray films” in inglese) alle sale radiologiche.

Il medicale quindi è stato la linea di partenza?
Sì, 29 anni fa abbiamo iniziato con la divisione medicale, con appalti pubblici per gli ospedali, gare. Poi siamo entrati nelle case di cura, qui c’è negoziazione. Insomma, posso dire che davvero abbiamo conquistato una posizione di leadership: oggi non c’è ospedale in Italia che non usi nostri prodotti.

Oggi arrivate in farmacia ed erboristeria, antinfortunistica e ferramenta, fai da te e giardinaggio, pulizia professionale…
Quali sono i vantaggi di una azienda multicanale dal punto di vista imprenditoriale?
Il modello dell’azienda multicanale ti permette di operare in più mercati con una grande flessibilità mentale e anche con meno rischi: se un anno un settore va meno bene, ma operi in più canali, è più facile che i conti tornino alla fine.
Nel nostro caso è interessante perché, ad esempio, se prendiamo i prodotti medicali e quelli antinfortunistici (il nostro payoff è proprio Health & Safety), sono due settori che non vanno paralleli, ma si incrociano spesso: per esempio, il 118 usa dispositivi di sicurezza (o di protezione individuale, Dpi) e anche l’abbigliamento da lavoro. Altro esempio: i trattamenti dermocosmetici DermaRays vengono proposti alle case di cura o alle RSA per i pazienti anziani o allettati che abbiano problemi di pelle o di pelle sensibile. Attualmente è la linea più venduta di tutte. Anche qui ci sono delle affinità tra il medicale e la cosmesi, e sono “punti di incontro” molto interessanti da scoprire, per sviluppare il business.

Certo, gestire un’azienda multicanale può essere anche stressante: ci sono più divisioni, più reti vendita, l’internazionalizzazione da pensare sia sul fronte commerciale che su quello del marketing. C’è molto da fare, e per questo è importante avere in squadra più persone che abbiano la stessa mentalità: una mentalità, cioè, aperta a sviluppare e ad approfondire nuovi mercati. Così la multicanalità diventa un punto di forza.

Questa mentalità va trasmessa, diremmo quasi geneticamente, alle generazioni successive: come è avvenuto il passaggio con suo figlio Andrea?
Mi ritengo fortunato: mio figlio è un ragazzo con una forte predisposizione al lavoro. Per me lui è la dimostrazione che se c’è la predisposizione a crescere e la voglia di imparare qualcosa ogni giorno, si raggiungono risultati importanti. Oggi ha 32 anni, ma quando ha iniziato ne aveva solo 16 ed è partito dal basso, come magazziniere. Poi, piano piano, è cresciuto, fino al suo ingresso nel Consiglio di amministrazione. Oggi segue gli acquisti nel Far East e le vendite in Italia. Ha imparato molto con me, sul campo, ma assieme a lui ho imparato anch’io, a partire dall’inglese che non avevamo studiato a scuola.

Ha citato il Far East, l’estremo Oriente. Come vi siete mossi in quei mercati?
Adesso stiamo lavorando direttamente con Alibaba (l’e-commerce cinese più grande, l’Amazon della Cina, ndr), e ci sta dà dando un’enorme visibilità. Anche i prodotti cosmetici sono molto apprezzati.

Ecco, la cosmesi: un settore diverso, e non facile…
Il benessere e la cura del corpo è un settore che mi piace molto, e all’estero il Made in Italy viene molto apprezzato anche per la cosmetica. Dal 2015 ho deciso di investire, acquisendo Iodase, un marchio storico di prodotti anticellulite, e poi aprendo nel 2018 uno stabilimento produttivo vicino alla sede, dedicato alla cosmesi. Con formulatori esperti creiamo nuove formule, anche in private label per la GDO – a cui forniamo anche il “pacchetto completo”: packging e marketing, oltre a ricerca e sviluppo. Una consulenza completa.

Tornando agli inizi, cioè al medicale, per chiudere il cerchio: ha visto miglioramenti in questi due anni di pandemia?
Mi spiace dire che è accaduto esattamente il contrario! Ho visto nascere dal nulla aziende senza alcuna competenza. Producevano altro, hanno fiutato l’affare delle mascherine, dei gel per le mani… e si sono improvvisate “esperte”, drogando il mercato: importavano prodotti che costavano meno, ma privi delle certificazioni necessarie – oltre che di strutture commerciali adeguate. Ora sono sparite e per fortuna si sta ritornando al “prima”, quando c’erano i veri player di mercato.
Lo stesso discorso vale per i dispositivi di sicurezza: sono un obbligo, anzi sarebbero, perché abbiamo ancora aziende che non li garantiscono, o non della qualità necessaria. Si potrebbe fare di più su questo fronte, il mercato è cresciuto e sta crescendo.

Concludiamo parlando di team. Lei oggi può contare su una squadra di 60 dipendenti e una rete di 100 agenti. Come si trovano e come si coltivano i talenti in azienda?
Dirò due cose, forse poco popolari, ma ci credo davvero: primo, i talenti li scopri quando entrano in azienda, non prima. Non al colloquio, dove in tanti sanno vendersi, ma quando iniziano a lavorare, si palesa il talento… o si vedono i limiti.
Secondo, se trovi un talento, non lo puoi sprecare, e per trattenerlo, bisogna ricompensarlo. Non basta la pacca sulla spalla: se un collaboratore porta valore, gli diamo l’occasione di crescere.
Apprezzo chi viene da me, mi propone idee, mi dimostra sia passione che competenza.
Non contano né il genere né la provenienza. Una mamma di 40 anni, per esempio, è diventata da poco direttrice vendite per l’Italia. Altre due collaboratrici con profili commerciali stanno facendo un ottimo lavoro all’estero, girando per fiere e clienti. Abbiamo molti collaboratori stranieri.
L’importante è riconoscere i risultati che raggiungono e mantenere un clima gradevole in azienda, trovare dei momenti per “alleggerire” l’atmosfera, e per motivare.

> Questo articolo è comparso originariamente sul numero 74 di V+: puoi scaricarlo, per intero e gratis, qui. Per ricevere i prossimi numeri, iscriviti alla newsletter di V+ qui.