Storia e curiosità dell'appendiabiti
NON DI SOLO SMARTPHONE O PC VIVE L’UOMO:
CURIOSITÀ E STORIA DI “COSE” DI CUI NON POSSIAMO FARE A MENO. PRENDI UN APPENDIABITI...
Marie Kondo, nel suo Magico potere del riordino, suggerisce di liberarcene, se non ci danno gioia… ma gli oggetti restano una parte fondamentale della nostra vita e del nostro lavoro.
Escludendo computer e smartphone, ci sono delle “cose” di cui non possiamo ancora fare a meno, nei luoghi e nei momenti di business, e che ci troviamo a usare o a prendere in mano quotidianamente e, spesso, senza farci troppo caso.
In un suo libro, lo scrittore e giornalista Luigi Pintor li definisce gli “oggetti intramontabili”:
E forbici, bottoni, lacci da scarpe sono solo alcuni esempi: gli oggetti che usiamo tutti i giorni (o quasi), senza accorgerci più di quanto siano utili, sono un’infinità – e spesso hanno una storia curiosa.
Andiamo per ordine alfabetico.
APPENDIABITI
Un record di brevetti
“Le donne hanno gli armadi pieni di ometti e non lo sanno”. Così scrive un simpatico utente su un forum online dove si discute sulla invenzione dell’appendiabiti (“appendino” o “gruccia”, dipende dalle Regioni).
C’è dell’ironia se pensiamo che a usare più diffusamente i primi “prototipi” furono le donne di metà ‘800, con le ampie gonne in crinolina impossibili da sistemare, rapide a sgualcirsi. “Ometto” si riferisce alla forma “a spalle” della gruccia, dove appendere giacche, camicie, cappotti o gonne e pantaloni, se con gancetti. Se piantato a terra, c’è chi lo chiama anche “uomo morto” (mi viene in mente la scena di The Artist in cui lei balla con un attaccapanni) o “servomuto”, per posizionare i vestiti affinché non si sgualciscano.
Veniamo alla sua nascita: anche se dal 1900 al 1906, negli Usa, ne vengono brevettati circa 190 modelli (evoluzione di quelli ottocenteschi), a passare alla storia è un disegnatore di paralumi, Albert Parkhouse (molti attribuiscono ancora i natali della gruccia a Thomas Jefferson). Parkhouse lavora in una azienda del Mississippi, ed è abituato a soddisfare le richieste dei clienti più stravaganti; così, quando per l’ennesima volta i colleghi dell’ufficio si lamentano perché non c’era abbastanza posto per riporre i soprabiti, prende un filo di ferro, gli dà la forma delle spalle e nel mezzo lo finisce con un uncino. Famosi sarti cominciano a usarla per esporre i loro prodotti e a rivenderla; nel 1932, il primo brevetto; nel 1935 il primo modello con l’asticella per i pantaloni.
Oggi ce ne sono di tutti i tipi: per le cravatte, per le cinture, di legno – per minimizzare le pieghe –e di plastica. Per chi viaggia, ne esistono di pieghevoli.
Non fa una piega
- Quando si appende la giacca, le estremità della gruccia devono arrivare al punto di intersezione tra spalla e manica, per evitare grinze e far arieggiare il capo (occhio, quindi, alle misure!).
- Per i pantaloni, bene le grucce con le pinze, che daranno l’effetto di una stiratura quasi naturale, o in alternativa l’asta orizzontale, se lo spazio è ridotto:
- Le camicie non amano gli appendini in metallo, troppo poco resistenti; e ricordiamoci di allacciare i bottoni alternati, partendo dal collo. Manterrà la forma.
- La gruccia in legno con tanti ganci viene ancora usata per le cravatte, piegate a metà.
- E le cinture? Non vanno arrotolate nei cassetti, perché si usureranno, ma appese per la fibbia, con i loro ganci, come le cravatte. E occuperanno anche meno spazio in armadio, a casa o in albergo.