Il museo di Coca-Cola e le 10 verità di Google
UN'ANALISI DELL'HARVARD BUSINESS REVIEW
La cultura aziendale contribuisce per il 20-30% ai risultati di un’azienda: detto altrimenti, un’azienda con una cultura aziendale “strong” (forte) può raggiungere fino al 20-30% di risultati in più rispetto a un’azienda con una cultura poco definita (dal libro The Culture Cycle di James Heskett).
John Coleman dell’HBR ha individuato 6 elementi costitutivi della “corporate culture”.
1. Vision: è la “mission statement”, un obiettivo che guida qualsiasi risultato, di ogni dipendente, collaboratore o stakeholder. Le vision più efficaci sono, di solito le più sintetiche e chiare: Coleman porta l’esempio della Alzheimer Association, “la nostra vision è un mondo senza Alzheimer”.
2. Valori: le linee guida per realizzare la vision. Comportamenti e modi di ragionare. Sempre più aziende le indicano chiaramente nei siti web o nei materiali informativi per i clienti. Anche qui, i più semplici e ben espressi sono i più facilmente raggiungibili. Esempi: la McKinsey & Company dice di voler “raggiungere i più alti standard professionali, migliorare i risultati dei clienti, creare un ambiente di lavoro senza rivalità, per persone eccezionali”; nei primi anni Duemila, Google aveva come slogan “Don’t be evil”, “Fare cose buone per il mondo”, che poi si è tradotto nelle “Dieci verità di Google”: l’utente prima di tutto; meglio fare una cosa sola, ma in modo impeccabile, veloce è meglio di lento, si può essere seri anche senza giacca e cravatta… e così via.
3. Pratiche: i valori… valgono poco se non si concretizzano. Se un’azienda professa “l’importanza delle persone”, deve essere disposta a investire nel personale; se promette una “gerarchia orizzontale”, deve anche dare ai componenti “junior” la possibilità di partecipare alle discussioni senza rischio di ripercussioni. Insomma, mantenere la parola data.
4. Persone: tutti, in azienda, condividano vision, valori e pratiche. Ciò si riflette, prima di tutto, sulle politiche di assunzione: quando scegliamo chi dovrà lavorare per noi, oltre alle sue capacità, valuteremo la sua adattabilità alla cultura dell’azienda. Ci sono aziende “fanatiche” in questo senso: Charles Ellis (autore di What It Takes: Seven Secrets of Success from the World's Greatest Professional Firms) giura che in alcune aziende un candidato viene intervistato anche da 20 persone diverse!
5. Racconto: anzi, in inglese si parla di “narrative”, che dà ancora di più il senso di “trasmettere con parole” a qualcuno, nel nostro caso, al cliente, quello che siamo. Quindi: tutto bello, vision, valori… ma come lo diciamo “agli altri”, al mondo? Il caso delle “Dieci verità di Google” è originale, al riguardo; e l’originalità aiuta parecchio. Il motto di Google è: “Qualcosa che vada in testa e non esca più”. Dovete raccontarvi e non uscire più dalla testa del cliente. Esempi strafamosi: Steve Jobs e i suoi studi di calligrafia, che sono diventati parte integrante della storia di Apple; o Coca Cola che ha addirittura aperto un museo ad Atlanta, con percorsi e assaggi
6. Luogo: dove un’azienda fa business. Nel suo quartier generale, Pixar vanta un atrio non solo spettacolare per l’architettura, ma anche punto di incontro quotidiano tra le persone e di certa ispirazione; il design ormai ha fatto passi da gigante, non solo mescolando sapientemente luoghi “aperti”, che favoriscano lo smistamento di idee, a uffici “chiusi”, per il lavoro individuale, ma anche dimostrando l’efficacia dei muri o dei tavoli scrivibili, per sbloccare la creatività, o dei lounge più informali per le chiacchierate di business. Qualsiasi idea abbiate per i vostri uffici, fate che siano “vostri”.