Dal call center con amore
Nel weekend abbiamo riletto il diario romanzato di un'operatrice di call center: Il mondo deve sapere (Isbn Edizioni) mescola il vero alla fantasia. Vero è che Michela Murgia ha lavorato un mese come telefonista in un'azienda di aspirapolveri; veri sono la precarietà e il modello di organizzazione del lavoro e di motivazione del personale. Non c'è sempre da ridere. Non c'è sempre da piangere. Prendiamo la storia con leggerezza, per dare fiducia agli uffici marketing: non in tutte le aziende è così - e l'autrice scala troppo velocemente il vertice dei grandi risultati e dei premi per i nostri gusti.
Però qualche annotazione l'abbiamo presa.
- Dobbiamo chiamare ogni lavoro con il suo nome. "Ho iniziato a lavorare in un call center. Quei lavori disperati che ti vergogni di dire agli amici. «Cosa fai?». E tu: «Bè, mi occupo di promozione pubblicitaria». Che meraviglia l'italiano. Altro che giochi di prestigio. Sappiamo che, prima di parlare di vendita, useremmo tutto il vocabolario. Ma la sostanza non cambia, e cambiare la forma è assolutamente inutile. Sei un venditore: non vergognarti di dirlo ad alta voce.
- Il cliente deve sapere che vendi qualcosa. Tanto prima o poi lo scoprirà. «Buonasera, sono Camilla. Lei è il signor Obstaculus?». «Dipende. Cosa vende?». «Nulla, assolutamente nulla». Salvo poi bloccarlo in una spirale di dimostrazioni e offerte. Ci sono clienti che ti perdoneranno, per questo uso improprio della lingua italiana, altri che se la legheranno al dito per sempre.
- Non chiedere ai collaboratori cosa li motiva, da' loro un motivo per lavorare. La motivazione è una fiammella che ognuno alimenta, non c'è dubbio, ma mettere un collaboratore di fronte alla fatidica domanda "perché fai questo lavoro?" non ti farà avere risposte sincere. O, se le vuoi ricevere, sii pronto a tutto. O impégnati tu affinché siano risposte positive. Siamo in fase "rimotivazionale". Le risposte sono diverse, confuse, tra chi ha bisogno di soldi e chi non ha voglia di fare altri tipi di mestieri. Mi ero aspettata qualcosa sul genere «Da piccola sognavo di vendere aspirapolveri per telefono». Guardo in faccia la psicologa e dico: «Io sono appena arrivata. Non ho legami qui dentro. Il capo l'ho visto una volta. Pertanto, poiché lo faccio solo per soldi, se mi offrono di più a pari condizioni, me ne vado di corsa». Rido dentro: so che sta pensando alla giusta punizione da infliggersi per avermelo chiesto. Se vuoi risposte sincere, prepàrati anche a questo.
- Umiliare qualcuno per elevare qualcun altro... non funziona neanche con i bambini. Hanno organizzato questa piccola sceneggiata di premiazione non per gratificare Peggy, ma per fare pressione psicologica su Laverne, che di appuntamenti ne fa centinaia di più di Peggy ogni mese. Un modo elegante per dirle: «Noi ti abbiamo portato in alto. Ma attenta che l'esercito delle tue colleghe spinge per portarti via lo status quo di best teleseller». Oltre ad avere risultati a breve termine (perché questa no, non è una buona motivazione per lavorare), si creerà un clima di odio nel gruppo. Odio allo stato puro.
- Altrimenti il ricambio del personale raggiungerà livelli vorticosi. C'è una sezione di telefoniste addetta al reclutamento di nuovo personale. Ogni mese vediamo sparire un terzo dei venditori con scuse improvvise tipo «ho il gomito che mi fa contatto con il ginocchio», «vorrei restare, ma mi hanno assunto all'ambasciata», fino a un meno eufemistico «fanculo, bastardi».
E ricordate che la vendita è un lavoro che va fatto con il cuore: «Se non avete cuore, fate un altro lavoro, di quelli che si possono fare con i piedi, con le mani... ma non questo».
Amen.