LA BELLEZZA NON È MAI ABBASTANZA
LA CREMA CHE CI RENDERÀ PIÙ BELLE È SEMPRE... LA PROSSIMA! STORIE DI DONNE CHE HANNO FATTO IL BUSINESS DALLE AMICHE AL MONDO
È un dato di fatto. Anche l’armadietto della donna (a suo dire) meno vanitosa, conterrà come minimo:
- uno struccante (o due occhi e viso);
- un tonico;
- un esfoliante;
- una crema viso da giorno;
- una crema viso da notte;
- una crema corpo;
- una crema per le mani;
- una crema solare;
- un deodorante;
- un profumo;
- un prodotto per lo styling dei capelli.
Poi almeno uno shampoo specifico, un balsamo e una maschera; un gel per il bagno o la doccia; shampoo e doccia per la palestra.
Se è una donna media, in realtà molti di questi prodotti saranno come minimo raddoppiati; e potremmo aggiungere una maschera per il viso, una crema per le occhiaie, una crema per i piedi, una crema corpo trattante (snellente, anti cellulite...), un siero.
Un delirio? Passiamo al beauty case per il trucco.
La dotazione minima è:
- un fondotinta;
- una “terra” o un fard;
- un correttore;
- una cipria o un blush;
- tre o quattro ombretti;
- tre o quattro rossetti e lucidalabbra;
- una matita per le labbra;
- un paio di matite occhi;
- un paio di mascara;
- due o tre smalti per le unghie;
Mascara, cipria, terra, ombretto, lucidalabbra, rossetto, un piccolo profumo e una piccola crema sono raddoppiati, a causa dell’indispensabile trousse in borsetta per i “restauri” al volo.
Questa è la dotazione base – anche di vostra moglie! – da rimpinguare costantemente nel corso dell’anno. Senza contare che escono sempre prodotti nuovi, e... il prossimo sarà quello giusto, finalmente!
A questo punto si capiscono due cose: la prima, il mercato della bellezza, anche nelle crisi, non ha rughe.
La seconda, perché il business della bellezza (in negozio e porta a porta) sia stato letteralmente inventato dalle donne.
Fedeltà? Sì, però…
Ogni donna ha una marca preferita: ma non la stessa per tutti i prodotti. E poi adoriamo provarne di nuovi! Le venditrici lo sanno bene, e per stimolarci a nuovi acquisti ci riempiono di “campioncini”. Comprare prodotti estetici e cosmetici, poi, dà una gratificazione scissa dal risultato: è prendersi cura di sè, aiuta a “tenersi su” psicologicamente, è una coccola, è un’esperienza gioiosa che si può anche condividere.
Le donne non spendono per sentirsi più belle: investono per sentirsi più belle – e di conseguenza anche più soddisfatte e felici.
Scenari paralleli
Con una crescita che in alcuni anni ha raggiunto anche il 10%, va da sè che ai player più grandi o “storici” si siano aggiunte nuove marche locali, o più piccole, o di nicchia; con conseguente nascita del segmento dei prodotti ecologico/naturali e di realtà basate sul lancio di tecnologie innovative.
La quantità di offerta può generare stress, in perfetta conseguenza del “paradosso della scelta” così efficacemente definito da Barry Schwarzt; forse per questo negli ultimi anni i maggiori exploit della distribuzione classica sono stati quelli di realtà, come la catena di profumerie Sephora del gruppo LVMH, che, grazie a un sistema di espositori aperti e prodotti tester a disposizione, permettono di fatto alle clienti di ricreare l’atmosfera delle prove a casa, con le amiche, e con assistenti alla vendita complici del gioco.
Quello della relazione è infatti un fattore chiave nelle decisioni di acquisto in campo cosmetico. Se non c’è empatia e complicità con chi è addetto alla vendita, tanto vale saltare questo passaggio: cresce il canale web (per i prodotti già di fiducia) e crescono gli acquisti via canali tv, in cui comunque il prodotto viene ampiamente spiegato e provato.
Questi nuovi canali incidono anche su un’altra leva psicologica: l’anonimato. Nessuno saprà mai che ho comprato un anti cellulite o, orrore degli orrori, un antirughe per donne agèe...
La vendita diretta resta comunque la mamma della bellezza: alcuni dei maggiori marchi sono nati così, e anche successi come Avon e Mary Kay, leader negli Usa.
E così si sviluppa fortemente il mercato nei Paesi emergenti, ad esempio in Sud America e Asia, realtà sociali in cui la ulteriore leva del doppio ruolo consumatrice/venditrice offre alle donne una nuova opportunità di relazione e di guadagno.
STORIA DI ESTÉE LAUDER: LA FORZA DELLA SORELLANZA
Estée Lauder, nata Esther Metzer, era la figlia di una famiglia molto modesta di venditori di elettrodomestici, immigrati ebrei dall’Europa. Quando decise di vendere la crema creata da un suo zio, che lasciava la pelle liscissima, e che produceva a casa cuocendola in pentolini, iniziò a farlo promuovendola a scuola, fra le compagne di liceo; dopo il matrimonio con Joe Lauder, creò il suo brand e si mise a portare di persona i suoi prodotti “casalinghi” nei saloni di bellezza e dei parrucchieri di New York. Il riscontro le consentì di allestire angoli nei vari punti vendita, in cui fare dimostrazioni e applicare gratuitamente i prodotti alle clienti, le quali inevitabilmente acquistavano e poi diffondevano spontaneamente i molti campioncini ricevuti alle amiche. Questa sua politica di sampling, diretta e poco costosa, fu decisiva: piccole quantità gratuite di prodotti a provare a un grande numero di potenziali utilizzatrici.
Un inizio difficile anche quello di Evelyn Hausner che, anche lei ebrea, era scappata coi genitori da Vienna in pieno nazismo. Nel 1959 inizia la sua carriera come telefonista in Estée Lauder, che all’epoca aveva “ben” 4 dipendenti e 6 prodotti. Che avesse talento e faccia tosta fu subito evidente anche alla fondatrice Estée: Evelyn rispondeva alle telefonate dei potenziali clienti dicendo di attendere, affinché potesse passargli l’interno giusto. Appoggiata la cornetta, aspettava un po’, poi rispondeva modificando la voce: un trucchetto per far credere all’esterno che l’azienda fosse molto più grande. Sia lei che Estée affermarono poi convinte che “il successo percepito diventa successo vero”.
Estée, che cercava una donna in grado di affiancare i suoi tre figli maschi alla guida della sua azienda, riconobbe e premiò presto questo talento. Anche suo figlio Leonard dimostrò di apprezzare molto Evelyn, tanto da sposarla. Suocera e nuora si intendevano perfettamente e lavorarono in sintonia, portando l’azienda al grande successo negli anni Settanta. Evelyn, che subentrò a Estée alla presidenza, teneva personalmente corsi ai venditori, e fu sua l’intuizione di creare il segmento dei prodotti di bellezza semi-farmaceutici dando vita a Clinique. Dopo che nel 1987 la diagnosi precoce la salvò da un cancro al seno, creò il simbolo e la campagna del “Nastro rosa”, che a oggi ha raccolto 350 milioni di dollari destinati alla cura e alla ricerca.
L’impero Estée Lauder, nato letteralmente nel tinello di casa, oggi ha 28 mila dipendenti e 7 miliardi di dollari di fatturato.
STORIA DI ELIZABETH ARDEN: L’INTUITO, PRIMA DI TUTTE
Una pioniera dell’industria cosmetica in America fu una canadese figlia di immigrati, nata nel 1890 col nome di Florence Nightingale Graham.
Rimasta orfana da piccola e dovendo lavorare, provò a fare l’infermiera scoprendo presto che curare la gente non le bastava, voleva farla sentire più bella; quindi si trasferì a New York e iniziò a lavorare in un salone di bellezza. Altra scoperta: i suoi massaggi erano definiti “magici”, specialmente quelli al viso. I suoi datori allora le insegnarono princìpi e formule dei prodotti, e lei dopo poco decise, con soli 6 mila dollari, di mettersi in proprio aprendo un salone nella prestigiosissima Quinta Strada. Trattandosi dell’area top con la clientela top, intuì di avere bisogno di un nome che “suonasse” meglio, che potesse diventare marchio, e per sceglierlo, si affidò, cosa che in qualche modo racconta molto il suo mondo interiore, alla letteratura. Da Elizabeth e il suo giardino di von Arnim e la poesia di Tennison Enoch Arden, ecco nascere il nome che, sempre rimanendo il salone più famoso della Quinta Strada, oggi firma cosmetici, profumi, make up, con distribuzione mondiale.
Considerando la condizione femminile di un secolo fa, il pionierismo di Elizabeth Arden è da citare anche nel marketing: nel 1910 distribuiva i suoi rossetti rosso fuoco alle suffragette, come simbolo di lotta. La promozione del concetto di “bellezza democratica” oggi si esprime anche attraverso l’ampia diffusione di tutorial attraverso i canali digitali.
STORIA DI HELENA RUBINSTEIN: VOCAZIONE E APPLICAZIONE
Polacca, nata nel 1873, era una delle otto figlie di una famiglia ebrea di commercianti, che evidentemente le trasmisero il gene dell’intraprendenza. Infatti a soli 20 anni, e da sola, andò in Australia, dove iniziò a vendere vasetti di una crema emolliente polacca alle donne locali, dalla pelle secca a causa del sole. Visto il successo, iniziò a importare la crema attraverso sua madre e poi ad aprire negozi.
Intravedendo il potenziale, tornò in Europa a studiare dermatologia, con l’obiettivo di creare prodotti specifici propri. Disse: “Il mio laboratorio è la grotta dell’alchimista di sempre, con i mezzi di oggi”.
Il primo negozio europeo fu a Londra e, considerando che si era a inizio ‘900, non bisogna trascurare la sua determinazione e il suo coraggio quasi da suffragetta: per le donne “di buona famiglia” anche il rossetto era sconveniente. Eppure, eppure... il suo successo fu inesorabile e internazionale, e “Madame Rubinstein” continuò a lavorare nel suo ufficio senza sosta fino al 1965, quando morì a 92 anni.
La rivista Life la definì “la donna d’affari di maggior successo al mondo”.
Spunti:
Le donne vogliono di più di Silverstein e Sayre - The Boston Consulting Group, ed. Etas
The Paradox of Choice, di Barry Schwarzt, ed. HarperCollins
http://www.slideshare.net/Lilzeon/beauty-cosmectics-social-media
Ogni donna ha il diritto di essere bella. (Elizabeth Arden)
Nella sua giornata di 24 ore ogni donna riserva certamente un po’ di tempo al suo aspetto. Bene, cerchiamo, in quei momenti, di esserle vicini. (Estée Lauder)