È TEMPO DI RIVOLUZIONE
IN UN PRESENTE SENZA PRECEDENTI, LE AZIENDE SCOMPAIONO PERCHÉ NON SCUOTONO LE VECCHIE CONVINZIONI. C’È SOLO UN’ALTERNATIVA: CAMBIARE O MORIRE. LEGGIAMO LE IDEE DI GARY HAMEL, ELETTO DAL WALL STREET JOURNAL “PENSATORE DI BUSINESS PIÙ INFLUENTE DEL MONDO”
Intervista a GARY HAMEL
A CURA DELLA REDAZIONE
PER GENTILE CONCESSIONE DI WOBI
Chi è Gary Hamel?
Recentemente il Wall Street Journal lo ha indicato come “il pensatore di business più influente del mondo” e la rivista Fortune lo ha chiamato “leader mondiale nella strategia di business”.
Negli ultimi vent’anni ha scritto alcuni libri di grande successo come Competing for the future, Leading the revolution e The future of management. L’ultima sua opera, intitolata What matters now, è apparsa nelle librerie nel 2012. Ha anche scritto ben 17 articoli per l’Harvard Business Review ed è l’autore più ristampato nella storia del Review.
Hamel è inoltre professore di “Strategic and international management” nella London Business School e ha prestato la sua consulenza ad alcune delle più grandi e prestigiose aziende del mondo, come General Electric, Nestlé, Procter & Gamble e Microsoft.
Alcuni importanti concetti, da lui messi a punto, come quelli della “core competence”, della “industry revolution” e della “management innovation”, hanno inciso profondamente sulla pratica del management nelle aziende di tutto il mondo.
Gary, guardiamo più da vicino alcune sue teorie partendo da quella delle “core competencies”, che potremmo tradurre come “competenze chiave”. Lei ne ha estesamente parlato nel suo libro Competing for the future. Può riprendere il tema in modo sintetico?
Le “core competencies” sono gli specifici fattori che un business considera centrali in relazione al modo in cui un’azienda e i suoi collaboratori lavorano. Devono soddisfare tre criteri: a) non devono essere facilmente imitabili da parte dei concorrenti; b) possono essere riutilizzate ampiamente per molti prodotti e mercati; c) devono contribuire ai benefici che i consumatori percepiscono nella loro esperienza con l’azienda e nel valore del prodotto/servizio che utilizzano.
Le “core competencies” possono assumere forme diverse (un know-how tecnico esclusivo, un processo particolarmente affidabile, una relazione molto vicina con consumatori e fornitori). Sono dei punti di forza particolari, che riflettono l’apprendimento collettivo di una organizzazione, e includono comunicazione, coinvolgimento e un forte impegno a lavorare superando le limitazioni burocratiche. Normalmente vengono sviluppate attraverso i processi di miglioramento continuo su un periodo di tempo non breve, e non mediante un singolo, grande cambiamento.
Perché sono importanti per le aziende?
Per emergere in un mercato globale, fortemente competitivo, bisogna dedicarsi a costruirle e mantenerle. Il management dovrebbe sviluppare un punto di vista su quali “core competencies” vadano scelte per il futuro e basare su di esse la rivitalizzazione del processo di creazione del nuovo business. Nella corsa per conseguire il taglio dei costi, la qualità e la produttività, aver chiaro quali siano le “core competencies” aziendali impedisce di perderle di vista e di distruggerle. E molte aziende sono scomparse per non averle protette.
Se in qualche misura Competing for the future è a favore di una selettiva conservazione, quella delle “core competencies”, l’altro libro Leading the revolution è, come si evince anche dal titolo, un invito alla rivoluzione.
I giganti industriali compiacenti e le aziende start-up che perseguono un’unica strategia sono dallo stesso lato della barricata: il lato sbagliato. Il compiacimento aziendale e i piani di business “mono strategici” non lasciano spazio per quella che descriverei la chiave della prosperità nel mondo del business di oggi, e cioè una capacità di continua e radicale innovazione profondamente assimilata. Il mio invito è rivolto a quelli che chiamo “attivisti rivoluzionari”, perché scuotano le fondamenta delle convinzioni aziendali e muovano da una situazione lineare di miglioramento costante a una non lineare di ricerca dell’“essere differenti”. Mentre in passato miglioramenti nei prodotti e nei servizi erano accettati come una buona strategia di cambiamento, la vera innovazione è adesso la demolizione e la ricostruzione di un intero concetto di business.
Secoli di progresso devono lasciare il campo a un’epoca di rivoluzione, e le aziende hanno una sola alternativa: cambiare o morire. Bisogna mantenere il focus su una innovazione estrema: “immagina il tipo di futuro che vuoi per la tua azienda e poi crealo” è ciò che dobbiamo tenere sempre presente. Per farlo, si devono considerare casi “solidi” di cambiamento “estremo” di successo. Ricordo Cemex, la terza azienda produttrice di cemento del mondo, come prova che “nuove attitudini e nuovi valori possono cambiare anche una vecchia industria”, se mette passione nel dimostrare che può competere con qualsiasi concorrente e se si impegna a trovare e a risolvere i problemi dei clienti, a favorire la collaborazione dei dipendenti per la creazione di idee nuove, ad allargare i confini del mercato. UPS, azienda di trasporti, spedizioni e logistica, è un altro esempio di rivoluzione “con i capelli grigi”, perché ha pensato in grande, sperimentando e apprendendo in fretta un approccio differente allo sviluppo del business e portando nell’organico nuovi talenti per alimentare l’innovazione.
Passiamo ora al suo ultimo libro, What matters now: ci sembra che non sia un libro che suggerisca “come fare meglio”, né un manuale per gente che voglia sopravvivere ai margini. È invece un invito appassionato a reinventare il management così come lo conosciamo, a ripensare le ipotesi fondamentali che abbiamo sul capitalismo, la vita organizzativa e il significato del lavoro.
Oggi i leader si confrontano con un mondo in cui la norma è l’assenza di precedenti. Dovunque si guardi, si vede l’eccezionale e lo straordinario: aziende, una volta innovative, che si dibattono per sfuggire alla senescenza; modelli di business centenari che sono resi irrilevanti dal giorno alla notte; investitori furiosi che si scontrano con amministratori
delegati ingordi e consigli di amministrazione compiacenti; clienti “onnipotenti” che vogliono esercitare il loro potere; social media che stanno drammaticamente trasformando il modo in cui gli esseri umani si collegano, imparano e collaborano.
Ovviamente, ci sono tante cose che contano oggi, ma in un mondo di certezze frammentate alcune cose importano più di altre. Mentre le sfide che le organizzazioni devono fronteggiare sono illimitate, lo spessore della leadership non lo è. Ecco perché bisogna essere chiari su che cosa conti veramente.
Quali sono secondo lei le questioni fondamentali che determineranno se il nostro business prospererà o affonderà nei prossimi anni?
Io identifico cinque aspetti fondamentali: valori, innovazione, adattabilità, passione e ideologia. Per riuscire a gestirli propongo un’agenda essenziale per i leader, dovunque essi siano, a condizione che si preparino a:
• fermare l’onda di progressivo spostamento dei prodotti verso il diventare delle “commodity”;
• battere la burocrazia;
• stupire i clienti;
• stimolare contributi straordinari;
• anticipare i cambiamenti;
• costruire aziende che siano davvero pronte ad affrontare il futuro.
Se faranno queste cose, la probabilità che il loro business abbia successo, pur nelle difficoltà del mondo in cui viviamo e ancor più di quello in cui vivremo, sarà molto più alta.