Moda: le taglie che non hanno senso, ma servono a vendere di più
Tempo di saldi, tutte in negozio, ma qualcuno si è accorto che nei jeans c'è qualcosa che non quadra: la redattrice di Vox, Dion Lee, ne ha provate tre paia in tre negozi americani diversi, ma attenzione... con la stessa taglia. Almeno, con la stessa taglia dichiarata, una "4", che in Italia corrisponde a una 40.
La vestibilità non corrisponde: "Quelli di Zara mi andavano larghi in vita, quelli di Forever21 non riuscivo nemmeno a chiuderli con le cerniera. Solo TopShop rispettava la mia taglia". Qui il video dove mostra i risultati delle prove.
Ne è nata una discussione sul web, al grido di "Non sei tu, sono le marche" (sottointeso "a farti sentire meno magra di quello che sei").
Scopriamo, sul Washington Post, che il "problema" risale addirittura agli anni '50, quando l'America cercò di standardizzare le taglie dell'abbigliamento femminile in una specie di progetto sulla "Donna americana media". Una donna standard, appunto, che non uscisse troppo dai canoni. Ovviamente il progetto fallì: il corpo umano non può inserirsi nei canoni, ha delle peculiarità, caso per caso.
Nonostante questo si ritornò più volte sulla questione, anche neglli anni '70, stabilendo delle tabelle (quelle che troviamo diffuse anche oggi) e prendendo a modello le donne dell'esercito - non si sa perché, considerando che erano più in forma di una donna "media" e con una struttura fisica sicuramente diversa dalle donne di colore, per esempio.
Tant'è.
Oggi in America si parla di "vanity sizing", una (preoccupante) differenza tra brand che sembrano sfidarsi a suon di etichette - a volte arrivando fino alla taglia zero. Sì, taglia zero.
Non c'è solo una ossessione per la magrezza, ma anche la volontà di ciascuna azienda di abbigliamento di definire la sua donna ideale. Lasciando, chiaramente, le clienti nel caos più totale.
Guardate questo grafico del New York Times e capirete la situazione...
"Vanity sizing", spiega un articolo di Cosmopolitan, è un semplice strumento di marketing: le donne si sentono meglio quando comprano dei pantaloni con una taglia più piccola, e, se si sentono meglio, ne acquistano altri. Acquistano ancora. Più volentieri. Le aziende, però, hanno rilevato negli ultimi anni un aumento delle misure femminili, e questo a livello psicologico (nelle clienti) ed economico (per le aziende) avrebbe potuto rivelarsi disastroso. Così non c'è voluto molto ad aggiungere centimetri di stoffa senza tuttavia cambiare la taglia indicata sul cartellino. O, magari, riducendola (arrivando alla fantomatica taglia 00).
E questo sistema non cambierà tanto presto: più piccola la taglia, più grande il guadagno.
Con buona pace per il portafoglio e l'autostima delle clienti.