Dress code: serve ancora?
VIAGGIO NELLA MODA FEMMINILE IN UFFICIO
PER CAPIRE LE SCELTE (E LE REGOLE) DI OGGI
Una scarpa con il tacco e due piedi insanguinati. L’immagine ha fatto, come si dice, il giro del web. La cameriera di un ristorante nella città di Edmonton, Canada, viene costretta dalla politica del locale a indossare sempre calzature alte, e si ritrova le dita dei piedi massacrati come una ballerina di danza classica. Non bastano le unghie spezzate che, quando rientra in sala con un paio di scarpe più basse, il responsabile le riserva una manfrina da manuale: se vuole continuare a lavorare lì, deve rimettere i tacchi.
Lo racconta su Facebook Nicola Gavins, esperta di make up e amica della ragazza, decidendo che, quando è troppo, è troppo: “Gli uomini sono autorizzati a portare un vestito nero qualsiasi di loro proprietà, le donne devono anche acquistare una divisa a loro spese”. L’immagine è stata condivisa più di 11 mila volte.
Di recente il New York Times ha raccontato anche di una receptionist inglese mandata via perché rifiutatasi di mettere i tacchi (l’agenzia delle assunzioni glielo aveva detto, lo sapeva dall’inizio); al contrario la nuova direttrice di Rai 3, Daria Bignardi, ha dichiarato di voler bandire divise tipo “Signorine Buonasera” dalla sua rete: «Niente più abiti fascianti, niente tubini, rigorosamente banditi quelli di colore nero. Sono troppo sexy per la tv di Stato. E niente tacchi».
Insomma negli ultimi tempi si è parlato molto di donne, lavoro e abbigliamento. Sembra infatti che questi tre, grandi temi siano ancora saldamente legati.
Il modello giacca-pantalone
Lasciando da parte la diatriba intorno alle nuove divise Alitalia (giudicate sia bruttissime, sia elegantissime per via dello stile anni ’50 con “poca pelle scoperta” e le calze verdi), partiamo da Hillary Clinton, moglie di Bill, candidata alla presidenza degli Stati Uniti, e, in caso di elezione, prima presidente donna nella storia del Paese. Tuttavia, a fare più audience del suo programma elettorale sono i suoi completi giacca-pantalone. Perché se c’è una cosa che proprio non va giù all’opinione pubblica è la sua mancanza di eleganza. Il “dibattito” (se di dibattito si può parlare) si è aperto quasi 20 anni fa, quando la Clinton sarebbe dovuta comparire sulla copertina di Vogue, manifestando però poi il dubbio di sembrare “troppo femminile”. La direttrice della rivista, Anna Wintour, in un suo editoriale scrisse: «L’idea che una donna contemporanea debba sembrare maschile per essere presa sul serio nella sua corsa al potere è francamente sconcertante». Sconcertante o no, da allora il look di Hillary è rimasto pressoché immutato – nonostante qualche tentativo di cambiamento. Giacca e pantalone coordinati (in inglese “pantsuit”), capelli ordinati ma mai super acconciati, a volte senza piega, e una borsa di Ferragamo rosa acceso che la lady dice di adorare. A chi la accusa di trasandatezza, risponde: «Ho scelte più difficili da fare e cose più serie a cui pensare».
Altro caso emblematico quello di Angela Merkel, che ha la stessa versione di tailleur in enne colori diversi.
Il primo post sul profilo Instagram di Hillary Clinton (“Scelte difficili”)
A piedi nudi sul tappeto rosso
Una che invece non si è mai fatta mancare niente quanto a femminilità è Julia Roberts, che però, durante la sfilata sul tappeto rosso all’ultimo Festival del cinema di Cannes ha lasciato fotografi e security a bocca aperta decidendo di sfilarsi le scarpe tacco 12. Un dettaglio minimo che nulla ha tolto alla mise generale del suo abito Armani. L’attrice si è avviata sulla scala come se nulla fosse, abbandonando le scarpe e lasciando che fossero le colleghe a destreggiarsi in mosse poco chic causa trampoli. “Follie a Cannes: Julia Roberts a piedi nudi sul red carpet” si è gridato.
Uno strumento di potere
Che cosa ci dicono queste tre notizie molto diverse tra loro? Che oggi alle donne è ancora richiesto di vestirsi in un certo modo. O meglio: che oggi vestire in un certo modo equivale a parlare un certo linguaggio, a rispettare un codice (non per niente si parla di “dress code” in inglese).
È un male? Scrive Vanessa Friedman, esperta di moda del New York Times: «Le scelte d’abito, soprattutto nel mondo dei social network, hanno un significato simbolico o diplomatico, come hanno dimostrato Michelle Obama e Kate Middleton nei viaggi e nelle cene di stato. I vestiti sono un’arma in più che la Clinton può utilizzare per plasmare la sua immagine e raggiungere persone altrimenti disinteressate alla politica; soprattutto può essere una risorsa che i rivali maschi sfruttano con più difficoltà». Che cosa si commenta, infatti, di un uomo “in carriera” se non il taglio o il colore della cravatta? «I vestiti indossati finora dalla Clinton non dicono niente dei suoi gusti, non la rendono più umana». Come a sottolineare che, per una donna che lavora in ambienti di un certo livello e che riveste cariche di una certa importanza, tralasciare la cura per l’abbigliamento, significa non solo dire qualcosa di sé sbagliato; può equivalere al silenzio più totale.
Veronica Benini, la toscana fondatrice di Stiletto Academy – una “scuola” per donne che vogliono imparare a indossare i tacchi nel modo giusto – ha ribadito: «"Per identificare un uomo che ha successo sul lavoro, si dice che “ha le palle”. Una donna che indossa un tacco non passa quasi mai inosservata, è l’equivalente di far vedere gli attributi: è uno strumento di potere».
Ma è sempre stato così?
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