Noi e gli altri


Michele Pengo Michele Pengo

COMUNICARE È VENDERE

Comunicare è un ponte tra noi e l'altro. Non parlo... del parlare, inteso come emissioni di suoni, piuttosto della capacità di trasformare in "ascolto" il messaggio che abbiamo intenzione di trasmettere, e di farlo diventare, poi, relazione.

 

Si dice che la comunicazione si decide proprio nell'ascolto: quindi è chi sente e ascolta che decifra il significato del messaggio.

Quando vediamo che quello che volevamo comunicare non è stato compreso, attribuiamo la responsabilità a chi ascolta: "Non hai capito quello che ti ho detto".

In realtà, come si può ben immaginare, ognuno ha il suo modo di interpretare e di dare significato alle parole. La Pnl (Programmazione neurolinguistica) la chiama "Mappa mentale": comprende l'esperienza, il livello di cultura, tutto il background, insomma, di una persona.

Inoltre sappiamo che la comunicazione non è formata solo dalle parole che diciamo ("verbale"), ma anche e soprattutto dal "paraverbale" (tono, ritmo della voce, pause) e dal "non verbale" (gestualità), espressione del viso, movimenti oculari, sorriso, postura).

Detto questo, capiamo che creare un ponte significa, quindi, unire due sponde per fare in modo di avvicinare in questo caso chi comunica e chi ascolta.

 

Chiediamoci allora: qual è l'obiettivo della nostra comunicazione? Consiste nel far sì che un nostro concetto venga ascoltato, rielaborato e interpretato dall'interlocutore così da avere un feedback positivo. Sempre in Pnl si parla di creare "rapport", ovvero entrare in sintonia con la persona a cui si vuole comunicare. E poiché ognuno ha una propria modalità di rappresentarsi la realtà, un buon comunicatore deve saper capire in quale di queste l'interlocutore è si riconosce di più, e di conseguenza cercare di adattarsi.

Per esempio: se l'interlocutore si rappresenta la realtà in modalità "visiva", utilizza soprattutto il senso della vista per descrivere eventi o fatti ("La sua proposta mi appare chiara"); se è "auditiva" il senso più utilizzato è quello dell'udito ("Mi suona bene"); infine c'è quella "cinestesica", quando si rappresenta la realtà utilizzando tatto, gusto e olfatto ("Ha toccato la mia attenzione").

Questo approccio è molto utile, perché per ottenere un buon rapport è necessario attuare una forma di "ricalco" delle risposte, quindi attraverso delle domande aperte che iniziano con "che cosa", "come mai", "chi", "quando", "dove", (non "perché", che é un po' inquisitorio), si capisce in quale sistema rappresentazionale si sta esprimendo l'altra persona, e si può comunicarglielo allo stesso modo.

Osservare i movimenti degli occhi, la postura, ascoltare "attivamente" fino in fondo, fino a quando ha finito, senza interrompere, sono tutti elementi importanti di interpretazione.

Quante volte è capitato di sentirci a proprio agio comunicando con una persona? Quante volte abbiamo provato sensazioni piacevoli nel constatare che chi stava parlando con noi ci stava davvero ascoltando? Questo perché c'era sintonia, c'era rapport.

Sembra complicato? Eppure applichiamo molte volte questa flessibilità. Quando vogliamo comunicare con nostro figlio di 2 anni, ci abbassiamo per portarci alla sua altezza (ricalco comportamentale), gli parliamo con dolcezza, usando un ritmo lento; se dobbiamo rimproverarlo, rimaniamo in piedi davanti a lui, puntiamo il dito indice, alziamo la voce, e il ritmo è sostenuto.

Questi comportamenti consci o inconsci hanno lo scopo di far arrivare nel modo più limpido possibile il nostro messaggio. Così l'altra persona può essere aiutata nella comprensione ed eseguirà ciò che è più utile per se stessa.

 

Questo atto finale si chiama "guida", che significa quindi far corrispondere le nostre intenzioni con le azioni di chi ascolta. Un obiettivo che si raggiunge più facilmente nel momento in cui la guida è stata preceduta dalla creazione di un ottimo rapport, che è stato ottenuto a sua volta da un buon ricalco.

Un libro che fa chiarezza sull'argomento è, per esempio, Introduzione alla Pnl di Jerry Richardson (Alessio Roberti Editore).

 

La vita è relazione, e la relazione è comunicazione. Comunicare meglio aiuta a creare rapporti migliori con colleghi, amici, conoscenti, coniugi, figli, a stabilire la giusta armonia di convivenza quotidiana, e di conseguenza a vedere gli eventi in modo più ottimistico, stemperando le tensioni e ritrovando il piacere di stare insieme.

Questo metodo non ha effetti collaterali, e costa poco, perché è già dentro di noi. Non servono grandi talenti: amore, tecnica, competenza e tanta pratica, se messi assieme, diventano buona comunicazione, fanno nascere feeling, connettono.

Buona comunicazione a tutti.