Fondamentali del business


Vittorio Mascherpa Vittorio Mascherpa

Dal volume N° 2

IL SEGRETO DEL TIRO CON L'ARCO

«DIMENTICARSI DEL BERSAGLIO PER POTERNE COLPIRE IL CENTRO». SFATANDO OGNI CREDENZA FOLCLORISTICA, LA FILOSOFIA GIAPPONESE INSEGNA NEL CONCRETO COME CONDURRE EFFICACEMENTE IL PROCESSO DI VENDITA

 

Era inevitabile. Prima l'ingenuo folclore new age, con il suo variopinto armamentario di utopie anarco-spirituali, poi un’informazione di massa tanto avida nel cogliere i fenomeni quanto superficiale nell’analizzarli, e infine il ben più scafato esercito dei pubblicitari e dei creatori di tendenze hanno finito per farci credere che lo Zen sia qualcosa da associare a monaci dal cranio rasato o a gente un po’ “fuori” e un po’ snob, che gioca a scimmiottarne i modi e lo stile.

Qualcosa che può – al massimo – entrare nella nostra vita per il tempo della permanenza in una spa altoatesina, insieme a yogurt integrale, cibo tristemente insipido e centrifugati dalla composizione improbabile.

Oppure una moda per ex intellettuali ormai prossimi alla data di scadenza e filosofi da salotto, di quelli che la sanno lunga sulla vita e sul mondo, e hanno quasi sempre un buon consiglio da offrire, ma quasi mai un buon esempio.

In ogni caso niente – ma proprio niente – che abbia a che fare con la vita vera, quella che comincia al mattino quando suona la sveglia e termina la sera quando ci si abbiocca davanti al televisore, dopo una giornata passata a confrontarsi coi problemi della materia densa, la concretezza delle grane di lavoro, la personalità di clienti e colleghi ben poco interessati a trovare se stessi o alle vie della realizzazione interiore.

Bene: e allora lasciatemelo dire. Una sola volta, ma con tutta la forza che posso.

Non è vero!

Difficilmente potrete trovare un approccio alla vita e all’azione che sia più solido, concreto, realistico e funzionale di quello proposto dallo Zen.

Talmente solido e concreto che rifugge ogni concettualizzazione, e considera il mondo così com’è, senza cercare o ipotizzare alcuna spiegazione o alcuna “realtà al di là della realtà”. Senza proporre ideologie, dottrine o sistemi di credenze, ma solo offrendo una pratica e delineando uno stile di vita e di lavoro.

Funzionale al punto che fa dell’eccellenza una Via e dell’azione un metodo per realizzarla.

E realistico al punto che al concetto di “perfezione” – astratto e filosofico – preferisce appunto quello di “eccellenza”, inteso come ciò che rappresenta “il meglio possibile” per ciascuno e in ogni occasione. Non un ideale astratto a cui conformarsi, cioè, ma piuttosto la piena manifestazione di ciò che già abbiamo in noi come potenzialità inespressa.

Basterà pensare, qualora occorresse una prova della vocazione pratica e funzionale di questa disciplina, che il monaco Bodhidharma – padre del Ch’an cinese, poi esportato in Giappone come Zen – è considerato anche il fondatore del Tempio di Shaolin, culla delle più efficaci arti marziali orientali. Un connubio, quello fra Zen e arti marziali, così stretto da risultare in molti casi inscindibile, come nel caso del Kyudo (il tiro con l’arco) e di molte scuole di Kendo (l’arte della spada), Karate e Aikido.

E certamente l’attitudine di un guerriero impegnato in un combattimento in cui la posta in gioco è la sopravvivenza ha ben poco a che vedere con l’immagine del meditante zen che ci propone l’attuale iconografia mediatica, con gli occhi rivolti al cielo, l’espressione sognante e un po’ beota, occupato a congiungere in cerchio pollici e indici mugghiando sinistri “oooommmmm” dalle labbra socchiuse...

Ma poiché lo Zen si avvale della ricerca dell’eccellenza come di uno strumento di lavoro, non solo le arti marziali, ma ogni altra forma di attività umana – dalle arti applicate all’artigianato artistico, dalla poesia alla finanza, dalla strategia militare a quella aziendale – può trasformarsi in una forma di pratica.

Non è affatto blasfemo né improprio, dunque, ipotizzare anche una “via Zen alla vendita”.

Un modo di condurre la trattativa commerciale all’insegna della massima efficacia, sia dal punto di vista concreto e “mondano” che da quello personale, interiore e auto-realizzativo.

Per passare dalle parole ai fatti, ecco subito un esempio di come uno dei principi più importanti dell’approccio zen possa trasformarsi in uno strumento di eccellenza nel rapporto di vendita.

Nell’arte del tiro con l’arco, si impara che il modo migliore per far sì che la freccia colpisca il bersaglio è quello di lasciar cadere ogni intenzione di far centro! Disinteressarsi totalmente del bersaglio, rinunciare a ogni volontà di conseguimento per agire secondo un principio che lo Zen definisce “mushotoku”: termine che potremmo rendere con “senza scopo”.

Il che, tradotto in termini commerciali, equivarrebbe a dire che il modo migliore per concludere una trattativa commerciale è quello di non preoccuparsi affatto del nostro obiettivo.

Anzi: di dimenticarsene proprio.

Un paradosso. Di più: un affronto alla logica, quasi una bestemmia per noi occidentali moderni, intimamente plasmati da una cultura in cui ciò che importa è “portare a casa i risultati”, e in cui – lo si dichiari o no – il fine giustifica i mezzi.

Dimenticarsi del bersaglio per poterne colpire il centro.

Proviamo a capire meglio.

Stiamo svolgendo un compito, e il nostro pensiero è tutto preso nel prefigurarsi i risultati, per desiderarli o per temerli. Dov’è la nostra mente? Dov’è la nostra attenzione? Qui dove siamo noi, qui dove serve che utilizziamo il massimo delle risorse disponibili, oppure da qualche parte nel futuro, a pregustare un successo che ancora non c’è o a preoccuparsi per gli esiti di un potenziale fallimento?

Prendiamo il processo di vendita. Quello più classico. Quello che troviamo su tutti i manuali, con le sua fasi di accoglienza, analisi dei bisogni, offerta mirata, discussione delle obiezioni, chiusura e congedo.

E consideriamo la prima di queste fasi: quell’accoglienza che – Cenerentola di tutto il processo – viene il più delle volte saltata a pie' pari o, nella migliore delle ipotesi, liquidata con qualche frase di circostanza, tanto banale quanto inutile. Eppure quello dell’accoglienza è un passaggio fondamentale nella creazione di un rapporto. È nel primo contatto che il venditore viene interpretato dal cliente. È qui che il cliente stesso si fa un’idea non solo del venditore, ma anche, attraverso di lui, dell’azienda che questo rappresenta, oltre che – inconsciamente – della qualità del prodotto. Dopo pochi minuti (2-3 sono sufficienti!) il cliente non sarà più una tabula rasa, ma avrà elaborato un’impressione, e questa, inevitabilmente, farà da filtro a tutto ciò che seguirà.

Ebbene: se nella fase di accoglienza il venditore è già tutto proteso verso ciò che seguirà, ciò che a lui interessa davvero, ciò che rappresenta il suo obiettivo – e cioè la chiusura – quanta cura (quanta “testa”) potrà dedicare a questo step che, per lui, non è altro che un preliminare necessario?

Se la sua mente e il suo intento sono già nel futuro, cosa resterà qui, in questo presente in cui si trova e sta agendo? Come potrà apparire sincero e creare rapport, se dentro di sè non vive e non sente ciò che sta dicendo e mostrando?

Andiamo oltre, e passiamo alla seconda fase: l’analisi. Quella fase in cui il venditore dovrebbe estrarre dal cliente il maggior numero possibile di informazioni, per poterle poi utilizzare nel seguito del colloquio. Un passaggio essenziale, che il più delle volte viene svolto in modo insufficiente per la fretta di proporre, oppure perché di tutto ciò che il cliente dice – e che il venditore per lo più finge di ascoltare, mentre già affila le armi per la fase successiva – viene ritenuto solo ciò che più direttamente riguarda il prodotto.

E allora ecco il vero significato di quell’apparente paradosso, ed ecco il segreto.

Lasciar cadere ogni intenzione di far centro è la chiave per potersi dedicare interamente a ogni singolo dettaglio dell’azione che si sta svolgendo. Dettaglio che deve essere fine a se stesso, e non un mezzo per raggiungere un fine.

Così lo scopo del tendere l’arco non è fare centro, ma soltanto quello di tendere l’arco. Nel modo migliore possibile. E allo stesso modo, la freccia viene incoccata e poi lasciata con l’unico scopo di incoccarla in maniera impeccabile e, in modo altrettanto impeccabile, di lasciarla libera.

Il bersaglio non c’è. Ci sono soltanto, di volta in volta, l’arco, la corda, la freccia e la nostra mano.

E allora lo scopo dell’accoglienza non è creare un rapporto allo scopo di chiudere una trattativa, ma solo ed esclusivamente quello di creare un rapporto col cliente nel modo migliore possibile.

Non c’è altro fine. Spostarsi nel futuro equivale a penalizzare il presente.

Scopo del fare analisi è conoscere il cliente (e non conoscerlo per piazzare un prodotto): conoscere i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue aspettative.

Solo così ciascuna delle fasi del processo potrà essere svolta in modo eccellente. E se ciascuna delle fasi è svolta all’insegna dell’eccellenza, il risultato finale non potrà che essere altrettanto eccellente.

Anche se il venditore non se ne è preoccupato.

Anche se ha dimenticato il bersaglio.