Sempre più lontani: siamo in piena crisi da contatto fisico?
Illustrazione di Monica Andino
C'era un tempo in cui la commessa o il commesso del negozio ti chiedeva gentilmente di metterti davanti allo specchio del camerino e ti riprendeva l'abito un po' qui in vita, sulle spalle, anche le maniche sono da accorciare...
Ancora prima, andavamo dalla sarta, che col metro giallo calcolava doviziosamente le misure.
C'era il tempo del contatto umano, tra venditore e cliente.
Non so voi, ma io sento che si sta perdendo.
Shopping online a parte, che chiaramente toglie molte possibilità di incontro, vedo tra le persone dell'imbarazzo, quando alla cassa devono prendere il resto o quando devono chiedere informazioni. Anche il contatto visivo è sempre più off limits: l'ultimo corriere che è arrivato a casa tua aveva un cappellino in testa, ci hai fatto caso? Ti ha passato una penna per firmare: qual è stata la sensazione?
Ci pensavo, e ho trovato questo articolo intitolato La crisi del contatto fisico nell'epoca dei social (perché i social, in qualche modo, c'entrano sempre). Da un articolo del Guardian si parte per chiedere: qual è l'ultima volta che avete toccato qualcuno che non fosse il vostro partner o un vostro parente? L'autrice del Guardian risponde: cinque persone in sette giorni, di cui due accidentali (il fattorino di Amazon).
Non è del tutto anormale: anche se il tatto è il primo senso che sviluppiamo dopo la nascita, è anche quello che tendiamo a mettere più da parte a beneficio del pensiero razionale.
Pare, però, che il contatto fisico (senza dargli accezioni sessuali) stia andando in crisi totale: medici che non abbracciano più i pazienti, anziani che restano giorni senza visite, "coccolatori" professionisti, sedie giapponesi avvolgenti...
Nonostante la vicinanza fisica con altre persone abbia degli effetti positivi sul nostro cervello, nonostante si sia superato il pregiudizio secondo cui il contatto sia "roba da femmine", nonostante si sia dimostrato che è invece un modo per "sintonizzarsi sull'altro" e arrivare prima a capirlo meglio, forse complice anche la diffusione del digitale, forse perché siamo nell'era del risentimento, demonizziamo il contatto, e spesso involontariamente.
Per chi fa business, è naturale sviluppare anche questa forma di vicinanza con il cliente: ci insegnano a mostrare atteggiamenti di apertura (con le braccia, lo sguardo), siamo di solito portati all'accoglienza del cliente, è spontaneo.
Non sempre, però. Non sempre. Ricordiamoci che anche la voce fa parte del "contatto": era accogliente l'ultima volta che hai parlato con quel cliente rompiscatole?
Rivediamo brevemente i vantaggi:
- ci sintonizziamo sull'altro: maggiore empatia. E se lo capiamo, abbiamo più opportunità di capire le sue necessità, e di soddisfarle.
- Ispiriamo un senso di benessere: l'altro si sentirà accolto e reagirà positivamente. Si tratta di evoluzione: siamo fatti per stare insieme.
- Sempre per ragioni evoluzionistiche, grazie al contatto ci sentiamo parte di un gruppo, quindi sviluppiamo il nostro senso di appartenenza, di identità in un insieme. Ed è molto importante, perché spesso il cliente acquista proprio per raggiungere uno status symbol ("Voglio essere tra quelli che hanno quel prodotto").
- Il contatto favorisce lo scambio di comunicazioni e di informazioni. Si parla meglio a voce che per telefono; si apprende meglio da un foglio di carta fisico che da uno schermo.
- Siamo meno sulla difensiva: la vicinanza riduce i sospetti (se la persona è affidabile, ovvio), aumenta la nostra socievolezza. E anzi, più restiamo senza contatto, più ci disabituiamo al contatto. E un cliente che frequentiamo poco è un cliente che, potenzialmente, può sviluppare più dubbi su di noi.
Lesson learned
La prossima volta, fateci caso: sempre nel rispetto dell'altro, fate caso, però, alla mano sulla spalla, alla stretta di mano. Se "urtate" qualcuno per sbaglio sui mezzi, sorridete. Alzate gli occhi quando ritirate o consegnate lo scontrino al bar. Siate professionali, ma senza creare muri. Di confini, a questo mondo, ce ne sono già fin troppi.