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Alessandro  Zaltron Alessandro Zaltron

Dal volume N° 30

Il tempo della relazione

«Si è sempre fatto così». Nelle aziende spesso sento rispondere con questa formula alle domande che cercano semplicemente di indagare perché alcune soluzioni vengano replicate all’infinito e altre mai prese in considerazione.
«Finora ha funzionato; l’ha stabilito il capo; anche gli altri fanno così; chi lascia la strada vecchia per la nuova…».
Se c’è un periodo storico in cui tutto va messo in discussione, è questo che stiamo vivendo. Proprio perché “si è sempre fatto così”.
A partire dal linguaggio, che in molti campi è chiamato a evolversi per non apparire un intruso della realtà. I genitori insegnano ai ragazzi che devono trovarsi il posto fisso e, se i figli aprono partita Iva, li guardano con un misto di sufficienza e pietà: «Ma sei precario!». Senza considerare che chi ha partita Iva è un libero professionista o un futuro imprenditore, non un disoccupato. E che un professionista di successo non è per forza il medico che con le visite private, metà in nero, accumula file di malati davanti allo studio e colonne di zeri nel conto in banca. Si può essere onesti, vivere bene e non avere lo stipendio a data fissa. Anche da venditori.

Nella vendita esistono due convinzioni datate che si tramandano acriticamente, sulla cui fondatezza vale la pena di riflettere.
La prima è che “il cliente ha sempre ragione”.
Affermazione temeraria: spesso il cliente non capisce niente, è presuntuoso, si comporta in maniera maleducata e poco rispettosa del lavoro altrui. Però un venditore che si lamenta dei clienti è come un meccanico che non vuole sporcarsi le mani di grasso. Un controsenso!
La seconda certezza granitica recita: più vasto è l’assortimento, più c’è “ampia gamma” di prodotti e servizi, e più saranno soddisfatti i clienti. Sì e no. Ni. Oggi il cliente vuole scegliere, e non delega in toto il venditore. Sembra dirgli: “Non importa quanto mi proponi, conta quanto sai plasmare la proposta sulla mia specifica, unica, irripetibile esigenza. Non sono uno come tanti, non puoi piazzarmi un pacchetto fra i tanti”. Il protagonismo individuale fa a cazzotti con l’offerta standard indistinta.
Il venditore scaltro prende atto e prende la mira anziché sparare nel mucchio, dal momento che i clienti certi fanno reddito, quelli potenziali fanno solo statistica. Proprio nell’epoca della globalizzazione, avversata da molti – e giustamente – come potenziale trionfo dell’omologazione, cresce il successo dei prodotti tipici, del turismo alternativo, degli hobby di nicchia. Chi ha subìto il consumismo, pensando fosse l’inevitabile corollario alla vita sulla Terra nel ventunesimo secolo, scopre che ha molte possibilità di affrancarsene, di tarare i consumi sulle proprie predilezioni anziché sul gusto medio.
Per avere un’idea della molteplicità di gusti basta osservare un gruppo di amici o di colleghi al ristorante. Difficilmente ordinano lo stesso tipo di caffè e anzi chiedono una miriade di varianti, a prescindere dal fatto che siano segnate sul menù: liscio, macchiato(ne), corretto sambuca, corretto grappa, corretto amaro, in tazza grande piccola e media, in tazza fredda o calda, ristretto, lungo, doppio, d’orzo, al ginseng, decaffeinato, shakerato, caldo, freddo, bollente, americano, schiumato, con la panna, napoletano, amaro, con miele o zucchero di canna o dolcificante.

No, non è vero che il cliente abbia necessariamente ragione. Però il cliente ha delle ragioni che il venditore è tenuto a considerare. Il mercato è sempre meno formato da acquirenti che si adeguano al venditore, e sempre più benevolo con venditori che imparano a essere elastici. Una dote che passa per la relazione e tralascia il monologo: non basta squadernare un listino con trecento articoli, considerandolo il tavolo della battaglia navale su cui
colpire e affondare i bisogni (presunti) del cliente.
“Ti ascolto, mi metto nei tuoi panni, ti cucio addosso ciò che so produrre costruire progettare vendere”. È questa la differenza tra il sarto scaltro che ha la pazienza di prenderti le misure e quello miope che t’impone di adattarti alle sue. È questa la differenza tra l’espositore self-service e il venditore. Viviamo l’era della relazione. Chi non lo capisce è precario anche se ha firmato un contratto di assunzione a tempo indeterminato.