IL B2B PUÒ ESSERE 2.0?
Se il cliente è un'azienda: le nuove tecnologie a supporto delle vendite. Utilità dei social network, gestione dei dati, visibilità in rete
Nell'ampliarsi prepotente del nostro utilizzo del web – sia in qualità di singoli che di operatori - esistono varie connotazioni sociologiche, tecnologiche ed economiche.
I cambiamenti complessivi, la crisi del sociale tradizionale (Alain Touraine) e le moderne "società liquide" (Zygmunt Bauman) hanno modificato molto le forme della partecipazione (vedi le difficoltà dei partiti politici o delle stesse associazioni economiche), ma non hanno diminuito il desiderio umano di essere in qualche modo visibili e virtualmente co-protagonisti (o di percepirsi come tali) in comunità allargate e distanti. Questo desiderio, che naturalmente si affianca all’indispensabile rapporto fisico interpersonale, si evince facilmente considerando avvenimenti sociali anche in Paesi privi di democrazia, o leggendo vari blog oppure i commenti sui giornali online da parte dei lettori.
In rete si formano e riformano gruppi e comunità di interessi peer to peer (cultura, hobby, esperienze ecc.); gli aficionados di una marca si confrontano animatamente sui plus/minus del servizio ricevuto; nascono gruppi di acquisto collettivo, persino movimenti di opinione politica.
Le stesse aziende riorganizzano strutture e processi e vivono esperienze a rete più intense, dove il web fa da connettore dentro e fuori le filiere e i tradizionali distretti (per le Pmi si veda www.clubdistretti.it).
Di fatto il mondo è globale, la rete il suo flusso vitale. E la crisi non ha fermato questa tendenza.
Il web e l'azienda 2.0
Nel social marketing aziendale questa nuova tendenza ha, come sappiamo, aspetti utili (a volte indispensabili) e aspetti "modaioli" (cui è connesso più di qualche rischio, come ricorderemo alla fine).
Non c’è dubbio che i social media stimolino la partecipazione e la generazione dal basso di nuove idee (crowdsourcing) e di nuove forme di supporto (advocacy). Tuttavia ci sembra che, dal punto di vista del business, al momento il social marketing si applichi più facilmente ai beni grocery di marca o a certi beni intangibili (turismo, cultura, servizi pubblici ecc.) piuttosto che a beni durevoli o industriali.
In ogni caso oggi le molte applicazioni di internet (intranet tra soggetti e reti di imprese, cloud computing, e-banking, e-procurement, progettazioni virtuali, CRM, email marketing, social network, Blackberry, Ipad, webinars ecc. – insomma il web 2.0) spingono verso la cosiddetta "enterprise 2.0", l'azienda 2.0 il cui obiettivo è razionalizzare e velocizzare i processi.
In particolare nell'ambito commerciale ciò significa mettere prodotti e processi aziendali sempre più a contatto con l'esperienza e le attese dei clienti e degli stakeholder, attuali o potenziali, generando vicinanza (intimacy) e fedeltà.
Be relevant, be social, be real time
I nuovi paradigmi tecnologici e competitivi trasformano, dunque, costantemente il marketing e le organizzazioni, profit e non profit.
Secondo Kotler, il marketing di oggi deve essere sempre più collaborativo, culturale e creativo, e coinvolgere clienti, dipendenti e partner; della stessa opinione è l'American Marketing Association, per la quale il marketing aziendale deve esprimere tre "B": Be relevant (valore per i clienti), Be social (con tutti i portatori di interessi) e Be real time (interconnesso).
Nasce il Customer experience management (CEM), evoluzione del CRM (Customer relationship management): le imprese devono saper interagire nel viaggio d'acquisto dei clienti (customer journey) riconoscendo le loro specifiche attese, palesi e occulte.
L'esigenza di trasparenza (che la crisi in atto ha reso più evidente) e di protagonismo dei clienti (consumatori-cittadini) e il crescente uso del web spingono le aziende (istituzioni, enti no profit) a formulare una "social business strategy", fruendo della collaborazione di dipendenti e dell'interfaccia con le comunità dei clienti per individuare migliorie o idee innovative, e per verificare il brand appeal percepito (vedi per esempio: www.customerthink.com).
La comunicazione aziendale utilizza un insieme di modalità off e online sempre più interattive, che devono essere integrate nella cosiddetta "cross channel communication".
La ricerca di reputazione di marca rivolta a un crescente numero di influenzatori passa dunque anche attraverso il marketing 2.0 e il social media marketing.
Internet e mercato nelle Pmi
Per sviluppare e valorizzare il moderno customer made and relationship management (che deriva dal marketing relazionale e ne amplia le opportunità), si deve avere oggi un approccio ancora più cooperativo e coinvolgente verso i clienti e gli stakeholder.
Evolve tutto il mix, e perciò anche la comunicazione, così, dove utile e possibile, è importante utilizzare anche i nuovi social media, ma senza mitizzarli, soprattutto da parte delle piccole e medie imprese B2B, spesso prive di risorse umane dedicate o di una strategia comunicativa efficace.
Alcune riflessioni:
- innanzitutto, per dare senso pratico al social marketing, un'azienda dovrebbe avere un brand forte e visibile. Cosa che risulta difficile per molte Pmi.
- Occorre seguire un'escalation di attività che derivano dal piano di marketing: dopo gli obiettivi competitivi. Serve, anzitutto, un sito web tecnicamente adeguato (che sul web sia opportunamente posizionato e visibile), nonché stimolante e aggiornato, su cui innestare un buon web marketing passivo (banner sui portali o su motori di ricerca, link ecc.); soprattutto serve un web marketing attivo, per aumentare l'engagement dei clienti (l'email marketing di qualità funziona ancora molto bene soprattutto nel B2B). Un CRM è indispensabile per aggiornare i data base di nominativi, personalizzare i messaggi e condividere ogni informazione in una logica organizzativa sistemica ed efficace.
- Nell'invio di messaggi sono essenziali la qualità dei contenuti e la profilazione dei target: secondo una recente ricerca, nelle comunicazioni online B2B l'85% delle email (spam compresi) viene cestinato senza aprirlo; così che tuttora per molte pmi che incontriamo già avere un sito adeguato e fare un buon email marketing (opt-in) è una conquista.
- Bisogna, quindi, saper valorizzare tutte le attività di marketing dell'azienda (off e online, dalle fiere agli eventi di RP, fino al web), generando sinergie comunicative anche low cost ma ad alto impatto verso i target. Oggi si deve saper fare meglio con meno.
- Solo dopo, se ci sono le risorse, le Pmi potranno sperimentare forme di social marketing, tenendo conto, però, che la reputazione online è transeunte (a volte illusoria), va gestita con equilibrio e continuità, evitando il "fai da te".
- Infine è consigliato misurare l'impatto degli investimenti con indicatori utili. Naturalmente senza mitizzare: ricordiamo che la notorietà è una cosa, l'immagine un'altra. Alle imprese interessa soprattutto quanta gente compra i loro prodotti (immagine), non solo quanta gente guarda il loro sito (notorietà).
Dunque il web in tutte le sue articolazioni e declinazioni commerciali (web marketing, email marketing, e-commerce, blog, Linkedin, Twitter...) è un approccio che affronta i nuovi paradigmi competitivi. Ma prima e dopo il web non devono mancare buon senso e capacità manageriali di base. Qui non è questione di old economy o new economy: ci vuole solo good economy.
Ma come integrare le "vecchie" tecniche di vendita con i concetti di sales 2.0?
Sales 2.0: definizione
Secondo il sito www.sellingpower.com, una definizione di Sales 2.0 può essere la seguente: "La vendita 2.0 collega la ricerca della produttività a strategie orientate al cliente, incrementando l'utilizzo di tecnologie che trasformano la vendita da arte a scienza. La vendita 2.0 si fonda su processi ripetibili, collaborativi e a misura di cliente, che passano attraverso l'area commerciale e il marketing, portando come risultati una maggiore produttività, un ritorno sull'investimento (Roi) più facilmente prevedibile e performance migliori".
Dunque le parole chiave sono: processi organizzati e collaborativi con i clienti, che comprendano le funzioni marketing e vendite in azienda e che generino migliori risultati misurabili.
Naturalmente la base di ogni processo commerciale è un sincero orientamento al cliente (in questo la vendita resta anche un'arte). Serve poi un CRM efficace, capace di generare report sulle attività svolte e informazioni mirate (profiling) su clienti e stakeholder. E questo CRM deve oggi integrarsi con i social media: una sorta di "social CRM", insomma.
La base: un sistema informativo di marketing integrato (IMM)
Abbiamo già sottolineato l'importanza del CRM per condividere le informazioni e, più in generale, i processi (workflow) in tempo reale. Premessa: quali informazioni del CRM possono essere utili alla forza vendite B2B? Informazioni istituzionali sulla propria azienda, anzitutto, materiali di vendita efficaci, ed eventualmente una password per le notizie interne. Quindi vanno sempre raccolte e analizzate le informazioni base sulle aziende prospect, ricavate dai rispettivi siti web o da portali di settore: posizionamento, dimensioni, tipo di organizzazione, ecc. Fin qui niente di nuovo.
Ma ecco una novità: potranno essere utilizzate dai sales team anche informazioni desunte dai commenti via web tra utenti del prodotto, che indichino cosa interessa veramente i clienti-obiettivo. Essere presenti e monitorare i social media più adatti (es. Linkedin per i professionisti) può fornire vari suggerimenti, oltre che offrire una tribuna pressochè gratuita al brand (immagine e reputazione).
Naturalmente, come abbiamo ricordato, tutto ciò reclama tecnologie, competenze e risorse dedicate. Oggi per attivare un Integrated marketing management (IMM) ci sono software assai complessi ,su cui far convergere sia le fonti offline che quelle online.
L'intero capitale di informazioni deve infatti essere integrato in un sistema informativo di marketing che utilizzi sinergicamente tutte le fonti: presidio fisico dei mercati, focus interpersonali, verifiche di customer satisfaction, telemarketing, email marketing, social media, direct email, promozioni tradizionali sui vari canali, fiere e convegni.
Il sistema (CRM, IMM ecc.), grazie alla condivisione delle informazioni, permetterà la traduzione delle stesse in processi e misurazioni.
In azienda la direzione commerciale sarà in grado di governare anche le soluzioni tecnologiche oggi disponibili, e di pianificare le conseguenti azioni di marketing supportando la forza vendite esterna, per esempio fornendo nominativi "caldi" da visitare (lead nurturing) e monitorando gli effetti.
Vendite "vecchie" e "nuove"
Ci sono cose che non cambiano di importanza e cose nuove nei processi di vendita, anche e soprattutto in tempi di crisi.
Cosa non cambia? Un buon venditore professionista esprime più dimensioni: etica, talento, competenza, capacità organizzativa e visione di business. Basilare resta aggiornarsi continuamente sui prodotti, fare manutenzione delle nozioni con seminari e letture, frequentare la propria business community, sviluppare relazioni e scambiare un patrimonio fiduciario reciproco (il "valore"), avere le giuste informazioni, sull'azienda cliente, il suo processo d'acquisto, i trend del settore, coltivare il talento comunicativo, perseguire sempre un buon sales training (webinars ma soprattutto face to face).
Per ricordare quanto i fondamentali restino importanti anche nell'epoca 2.0, citiamo una recente ricerca pubblicata sulla rivista McKinsey Quarterly (The basics of business to business sales success), dove si evidenziava come le relazioni con i clienti devono essere costanti ma non aggressive, e come la qualità del prodotto sia solitamente più importante del prezzo (al di là delle affermazioni dei clienti). La competenza dei venditori, inoltre, fa ancora spesso la differenza.
In un recente contributo su www.inc.com (un sito Usa dedicato alle piccole aziende) compariva lo sfogo di una giovane imprenditrice che non riusciva a trovare buoni venditori B2B (Why it's hard to fill sales jobs), e ne descriveva le caratteristiche desiderate: "Vendere, quando è fatto bene, significa mettere le persone giuste a contatto con i prodotti giusti. Un buon venditore ascolta attentamente e aiuta a soddisfare bisogni e a risolvere i problemi che il cliente gli sottopone. Un grande venditore si prende anche la responsabilità di tenere informato il cliente sull'evoluzione del suo business e lo aiuta in questa ricerca. Un venditore eccellente fa ancora di più: ha la capacità di supportare le scelte strategiche del cliente, di aiutarlo a individuare nuove soluzioni, e così contribuisce a crescere assieme".
Un metodo pratico che i venditori professionisti possono utilizzare può essere quello proposto da www.sellingaction.com: monitorare il proprio bagaglio professionale partendo dalla risposta ad alcune domande strutturate su un template ("The best questions map") e che riguardano se stessi, l'approccio alla professione e il rapporto con i clienti.
E le cose nuove?
Il concetto di marketing 2.0 e di sales 2.0 aggiunge ai requisiti di base altre opportunità virtuali anche nelle vendite business to business.
Oggi i casi aziendali di social marketing più noti vengono infatti ancora dai settori business to consumer: negli Usa, per esempio, le mamme fan della Walt Disney o l'engagement della Huggies per i bambini, i consigli per gli acquisti della catena JC Penney; in Italia la Barilla (suggerimenti e blog Nel mulino che vorrei) o Illy caffè. Qui il passaparola tra comunità online di utenti/consumatori può influenzare effettivamente il successo di una marca e indirettamente anche alcuni suoi processi innovativi. Anche se naturalmente occorre sempre considerare l'intero mix, compreso il fondamentale ruolo della distribuzione tradizionale (offline) che si affianca alle relazioni via web.
Abbiamo già ricordato come non vi sia sempre genuinità nei fan di una marca che "cinguettano": a parte l'esibizionismo digitale (che c'è, a volte assai fastidioso e rivelatore), molti follower risultano stimolati dai punti-premio, a volte i profili risultano addirittura fasulli ecc.
Nelle trattative B2B, invece, la selezione è più "dura": gli interlocutori sono pochi, la preparazione tecnica e la riservatezza essenziali, ci si confronta con team di acquisto interfunzionali e competenti, che alla fine hanno bisogno di interagire efficacemente e personalmente con altre professionalità.
Inoltre è chiaro che gli operatori aziendali hanno certo meno tempo da "sprecare" per navigare tra i social network (e ciò limita anche il numero dei "navigatori").
Infine non c'è dubbio che alcuni settori B2B siano potenzialmente più ricettivi di altri (es. è probabile che l'arredamento sia più interessato ai social media rispetto alle tecnologie per la saldatura meccanica).
Tuttavia, secondo vari esperti che consultiamo, anche nel B2B il sales 2.0 può aiutare, sia pure con tutto il realismo del caso.
Accogliamo intanto un paradigma: il "social business", se fatto bene, può fornire elementi per una nuova visione strategica, dove prodotti e processi sono tipici di un'azienda più aperta, reumanizzata, flessibile, capace di coinvolgere in tempo reale collaboratori, clienti e stakeholder grazie al villaggio globale rappresentato dal web.
Naturalmente per le aziende bisogna selezionare dal mare di messaggi che corrono sui vari social network, definire priorità e non disperdersi.
Una nostra recente ricerca 2012 su un campione di Pmi industriali del Nord Italia indica che i social sono ancora considerati poco adatti al business. Perciò concretezza.
In particolare, dal punto di vista operativo costruire un social CRM significa allargare e integrare le informazioni sia online che offline, rendendole sinergiche per indagare su interessi, nuove tendenze latenti e opportunità di sviluppo.
Le fonti sono, dunque, sia quelle ormai tradizionali (es. i portali di settore e gli stakeholder) sia i tool per tracciare le aggregazioni sui social media. E se l'azienda non possiede le risorse umane interne per tutte queste attività, può delegare alcuni servizi (es. il monitoraggio della reputazione di marca che emerge dai blog) a un'agenzia esterna.
Parte di queste attività informative, soprattutto la loro sistematizzazione e utilizzo sono affidati ai venditori e ai sales team. Aumenta perciò il valore del sistema informativo e relazionale di ogni venditore, il suo vero asset strategico.
Solo un professionista attento e determinato sa aggiornare e valorizzare costantemente le informazioni, per costruire sistemi di valore verso i singoli clienti, gestire i feedback sulla customer satisfaction e registrare tendenze latenti.
Oggi, e da tempo ormai, si tratta di inventare ogni giorno un pezzo del proprio business, non solo di gestirlo bene.
Cosa deve fare l'azienda?
Buona parte delle nuove attività è sulle spalle dell'azienda e del suo management.
Purtroppo, nella nostra esperienza quotidiana, dopo anni di parole sui CRM, vediamo ancora oggi molte aziende che non valorizzano in modo sistemico il loro patrimonio informativo per costruire azioni ad hoc, né sanno ricercare o motivare i propri talenti nascosti, o che scarseggiano in sales training e motivazione.
I compiti del management aziendale nel sales 2.0 dovrebbero essere i seguenti:
- la direzione commerciale dimostri, anzitutto, che ha una visione olistica del marketing relazionale, un approccio sistemico e innovativo atto a coinvolgere, oltre ai venditori, l'intera azienda sui progetti e sui processi.
- Quindi analizzi preventivamente esempi omogenei di successo e insuccesso di social CRM, tenendo conto delle effettive possibilità nel business. È opportuno attuare dei test preliminari. Se l'indagine conferma, il management deve definire gli aspetti organizzativi (come ridisegnare il sito web, chi gestisce i blog, come coinvolgere i venditori e come riversare loro le informazioni utili e non un "chiacchiericcio") attraverso alcune metriche da monitorare.
- La direzione può successivamente segmentare i propri sales team individuando venditori "sperimentatori" (anche tra il personale di front line interno) che abbiano particolari predisposizioni per il networking e frequentino già comunità di interessi online, invitando questi venditori a cercare clienti altrettanto innovativi per coinvolgerli, ad esempio, su ipotesi di nuovi prodotti o servizi (engagement e coengineering).
- Questo approccio può essere utile anche nel caso l'azienda desideri sondare low cost un nuovo mercato nei paesi emergenti: quali sono le abitudini di acquisto? Quali le modalità distributive più utili? Le locali comunità online forniscono informazioni di prima mano, cominciando a generare attenzione al brand.
- Secondo CustomerThink, oggi la questione non è (solo) cosa tu sai, ma chi tu conosci e quanto tu conosci di lui. Per questo ci sono anche software dedicati ai sales team (vedi ad es. www.jigsaw.com) che si integrano con il CRM aziendale per fornire informazioni anche recondite potenzialmente utili per sviluppare una trattativa di successo. Le informazioni potenzialmente utili ricavate dei feed back digitali coi clienti vengono via via trattate dal marketing sino al punto che esse diverrebbero utilizzabili dai venditori (lead nurturing) indirizzandoli ai nominativi caldi. Naturalmente ribadiamo la nostra posizione: nessun software a distanza può sostituire le attività di intelligence sul campo e le relazioni interpersonali tra venditore e cliente.
- In particolare ipotizzare che vi sia la effettiva possibilità di cogliere il momento giusto del cliente (es. nel B2B) dal tipo di feed back digitali che il soggetto invia all'azienda emittente, ci sembra meccanicistico e alla fine probabilmente illusorio. Tuttavia i software di supporto sales 2.0 hanno almeno un vantaggio certo: il management può controllare meglio gli effetti dell'invio di nominativi ai venditori di front line, che altrimenti spesso non garantiscono i feed back sprecando le informazioni ricevute.
- La direzione commerciale deve avere infine un approccio distributivo multicanale (dunque multimediale), e deve perciò formare i singoli team di venditori specializzandoli per canale/mercato in base alle modalità di promozione emergenti.
- Tra i canali distributivi oggi anche l'e-commerce può garantire sviluppi interessanti sia nel B2B che nel B2C, in particolare avendo come target soprattutto i giovani consumatori e l'export. Il recente Ecommerce Forum 2012 (Osservatorio del MIP di Milano) stima oggi in Italia un fatturato globale via ecommerce pari a circa 10 miliardi di euro, di cui 1,6 in export. Per il 2015 si attende un notevole incremento (vedi anche progetto "My Bank" dell’Associazione digitale italiana). I settori B2C più importanti si confermano al momento turismo, abbigliamento e agroalimentare. Nonostante il persistente gap tecnologico (banda larga) e qualche burocrazia (armonizzazione europea ancora in corso sulla privacy) anche le nostre Pmi hanno dunque a disposizione questo canale, soprattutto in tempi di crisi. Come abbiamo detto, però, mostrare un catalogo elettronico on line e un form per gli ordinativi non basta: occorre un software per la gestione ordinativi, occorrono sistemi di pagamento online sicuri collegati a una banca, e un sistema logistico efficiente (su questo fronte anche le alleanze consortili possono risultare utili).
In conclusione: sales 2.0 e web 2.0 vanno considerati con molto realismo, soprattutto dalle piccole e medie imprese che hanno problemi di risorse e scarso tempo.
Tuttavia è sempre opportuno valutare e affrontare le innovazioni con uno sguardo lungimirante, accettando anche qualche sperimentazione al momento (forse) non redditizia.
È l'approccio degli innovatori, degli imprenditori.
P.S. Avvisi ai naviganti
Ogni giorno leggiamo di nuovi virus, furti di identità (phishing), hacker che penetrano sofisticati sistemi, ecc. È vero che le società primarie come Google o Facebook investono molto in software per proteggere la privacy, ma quando il circuito si allarga i rischi oggettivamente aumentano. Perciò serve intanto attrezzarsi tecnicamente: oltre ai firewall oggi ci sono vari antivirus per proteggere la posta elettronica, per l'uso sicuro di Skype e per difendersi dai furti di identità (es. Suite Internet Security, vedi i suggerimenti sul Giornale delle partite Iva di maggio 2012).
Per quanto riguarda i social, meglio ricordarsi che ogni dato, ogni commento restano sulla rete anche quando non lo vorremmo. Se si decide di uscire da un social network, spesso è permesso solo di disattivare il proprio profilo, non di cancellarlo. Le aziende che gestiscono i social network generalmente si finanziano vendendo pubblicità mirate. Il valore di queste imprese è strettamente legato sia alla loro capacità di profilare in dettaglio abitudini e interessi degli utenti, per poi rivendere queste informazioni, sia al numero di utenti che vi navigano.
Ma attenzione: come abbiamo ricordato, molti che "cinguettano" su certi social vengono remunerati per farlo, o risultano addirittura profili fasulli; inoltre la maggior parte dei siti di social network ha sede all'estero: quale legislazione può tutelare l'utente italiano o europeo?
Che fare, allora? Anzitutto autodifesa, riflettere bene prima di comunicare dati personali. Quindi valutare, soprattutto se si è operatori economici, se il gruppo a cui ci si intende iscrivere può danneggiare se stessi o altri. Valutare preventivamente, in caso di contestazioni pubbliche da parte di qualche membro del social network, come reagire per tutelare la propria immagine e quella di altri. Infine controllare bene le clausole di privacy, accettando solo ciò che ci sembra corretto.
* Questo articolo sintetizza i temi del mio libro La vendita relazionale in tempi di sales 2.0