VENDO E POI DIMENTICO? NON FUNZIONA COSÌ
Mi è sempre piaciuto occuparmi di vendita. Mi interessava soprattutto un aspetto: la necessità di chi vende di capire i bisogni delle persone e delle aziende. Chiedersi, prima ancora di creare un prodotto: a chi lo venderò? Conosco il mio cliente?
Mi sono laureato alla Bocconi specializzandomi in Internazionalizzazione delle piccole e medie imprese. Poi ho cominciato a lavorare in un’azienda di Pesaro, tornando quindi verso casa (sono originario di Cattolica, provincia di Rimini).
Lavoravo come analista di mercato, in vista della quotazione in Borsa. Dovevo scoprire, in parole semplici, quanto valessero i mercati, dove fossero i clienti che ci servivano. Per fare questo, raccoglievo informazioni all’interno di grandi database. Presto mi sono reso conto dell’enorme quantità di dati che avevamo a disposizione, e già allora mi domandavo quale fosse il modo più efficace per utilizzarli.
L’incontro che ha “scombinato” le carte, mettendomi sulla strada che mi ha portato dove sono oggi, è avvenuto in Olanda, quando ho conosciuto il manager di un’azienda americana. Eravamo all’aeroporto, e mi parlava di un metodo di analisi molto diffuso negli Usa: il geomarketing. Come dice il termine, questo metodo mette insieme geografia e marketing, per permettere alle aziende di trovare clienti con l’aiuto di cartine geografiche, digitali e interattive, dove sono indicati i mercati di maggiore interesse. Sui potenziali clienti che vengono localizzati si possono indirizzare delle azioni commerciali mirate, senza perdersi in infruttuose ricerche... “a naso”.
Tre mesi dopo mi sono licenziato dall’azienda di Pesaro con l’idea di portare il geomarketing anche in Italia.
Ho contattato Carlo Renzi, ex compagno di studi alla Bocconi, che nel frattempo aveva intrapreso una carriera nella finanza. Gli ho raccontato il progetto e mi ha risposto: «Facciamolo».
Nel 2003 è nata Geocom, e da allora ci dedichiamo a fornire alle aziende e agli imprenditori italiani un servizio specializzato nella vendita per supportarli nella generazione di nuovi affari all’Italia o all’estero.
Quando siamo partiti, avevamo tutti e due meno di trent’anni. Giovanissimi, ci siamo presentati dal direttore di un’azienda di Rimini con tremila dipendenti, numero uno nella produzione e distribuzione di macchine per il legno. Non c’erano gli strumenti che ci sono oggi: i computer si stavano ancora diffondendo, e me ne sono fatto prestare uno da mia sorella per presentare il progetto.
Il direttore percepiva il nostro entusiasmo, e la riunione si è conclusa in modo insperato. Ci ha detto: «Bella idea, anche se va messa a punto. Siete giovani, e se chiudessi la porta a due giovani con un bel progetto, potrei pentirmene. Va bene, proviamo. Se siete bravi, avrete un gran da fare qui. Altrimenti ve ne andate».
Quel direttore lungimirante ci aveva concesso fiducia. La sua azienda è il nostro primo cliente ancora oggi, dopo dieci anni.
Dieci anni sono trascorsi anche da quando abbiamo finito l’università. Ci siamo ritornati in marzo, per tenere un seminario. Doppia la soddisfazione: essere di nuovo tra quei banchi, e non più come studenti, e ascoltare le esperienze e le storie di manager e imprenditori sul tema della vendita e la ricerca dei clienti. Per una volta non si è parlato di crisi, ma di come non ci sia dato di improvvisare, anche se il mercato interno soffre. Aprire scenari di vendita redditizi implica una ricerca a monte, richiede lavoro, ma nei partecipanti abbiamo percepito la voglia di muoversi in questa direzione.
Mi considero un venditore nella misura in cui vendo il mio progetto. Ho imparato, infatti, che un’idea può anche vendersi da sola, se è veramente buona, ma serve una filosofia alla base, un pensiero ben preciso: bisogna mettere il cliente al primo posto.
Lo ripeto sempre ai nostri collaboratori: la vendita non può essere il risultato di una ricerca fortuita. Non si può andare alla cieca. Dobbiamo conoscere chi è il cliente, dove si trova, di che cosa ha bisogno. Chi, dove, che cosa. Sono queste le coordinate, i punti cardinali che ogni venditore deve saper individuare.
Quando studiamo un mercato, e ci ingegniamo per capire come far fatturare di più il cliente, perché è questo il nostro compito, dobbiamo ragionare in prima persona: pensare come se l’azienda-cliente fosse la nostra azienda, il mercato da sviluppare il nostro mercato. Il coinvolgimento deve essere totale.
Concentrarsi sul prezzo, ingaggiare con il cliente una lotta per ottenere vantaggi personali, è riduttivo, e alla lunga neanche così remunerativo. A un venditore è richiesto di fare tutto il possibile per il cliente, per contribuire alla bontà del servizio e alla fine lasciare il cliente con qualcosa in più rispetto a quello che si guadagna. Un buon commerciale è come quel medico che non stacca quando il suo orario finisce, ma si adopera cercando la migliore soluzione per il paziente che gli ha chiesto assistenza.
Questo concetto di vendita mi è arrivato da un formatore che è sempre stato per me un punto di riferimento: Mario Silvano. In uno dei suoi libri, Silvano inserisce un’equazione che ha aperto i miei orizzonti, quando si parla di clienti: vendita uguale servizio.
Vendere è, prima di tutto, prestare un servizio al cliente. Non è: vendo e poi dimentico. Perché un venditore non vende solo un prodotto, ma la sua persona. Il prodotto ha un nome e un cognome, quelli chi l’ha venduto. Quando vendiamo, proponiamo noi stessi, e il valore della vendita deriva dall’attenzione che abbiamo messo, dallo studio, dall’atteggiamento.
Perciò vendere è dare tutto ciò che produce valore. E se sappiamo che quello che vendiamo al cliente non serve, non solo non è etico, ma diventa qualcosa diverso dalla vendita.
Il cliente è la vendita. Questo principio non può cambiare, pena l’impoverimento del nostro lavoro.