Stare vicini per stare meglio
IL CONTATTO FISICO NASCE COME METODO DI SOPRAVVIVENZA;
OGGI È UN MODO PER “SINTONIZZARSI” SUGLI ALTRI – NON UNA “ROBA DA FEMMINE”
di MICHELE CUCCHI
Psichiatra e Direttore Sanitario del Centro Medico Santagostino
Il mondo, oggi, è un ambiente molto competitivo, in cui si rischia di vedere tutto come una sfida senza alleati, anche nella propria squadra. Questo è anche frutto di una deriva sociale verso una dimensione autocentrata, in cui “io conto, io decido, io valgo”. Queste tendenze sociali alimentano lo stress, la scarsa autostima, le difficoltà di interazione, innanzitutto nella coppia.
Recuperare il tempo e la dimensione delle coccole è importantissimo: dobbiamo riscoprire il piacere e, in una dimensione adattiva, l’utilitarismo della condivisione spirituale e fisica.
Anche la stabilità torna ad essere un valore. Fra i comportamenti sociali che supportano stabilità, senso di appartenenza e condivisione, le coccole e, in senso più lato, tutte le forme di accudimento fisico ed emotivo dell’altro, sono un presupposto necessario.
Benefici delle coccole
Le coccole alimentano una reazione neurobiologica nel nostro cervello che sostiene la cooperazione, l’accudimento reciproco e l’intimità. Dare spazio alle dimostrazioni fisiche di affetto, condivisione e vicinanza emotiva, ci predispone mentalmente, si potrebbe dire neurobiologicamente, a trovare intesa ed empatia con l’altro.
La condivisione e l’affidamento all’altro sono il perno di una strategia specifica di “coping”, ovvero di gestione, dello stress.
L’intimità è fatta di sesso fisico, ma non solo: stare insieme nel rapporto di coppia e anche nelle altre relazioni presuppone un costante lavoro di “fine tuning” ovvero di sintonizzazione sulla frequenza emotiva dell’altro, cosa né scontata né semplice. Le coccole e gli abbracci favoriscono a livello mentale questi processi cognitivi.
Gli uomini cercano in modo diverso e per motivi diversi le coccole rispetto alle donne. Le donne vedono nella coccola la massima espressione di amore, rassicurazione e attenzione; le donne le ricercano per intesa sentimentale e condivisione. Per la donna la coccola è, quindi, un importante elemento della relazione.
Nell’evoluzione del genere homo abbiamo mantenuto alcuni schemi neurobiologici: l’uomo ha un bisogno diciamo egoista di rifugiarsi nella coccola per modulare il perenne stato di aggressività che vive in quanto “capo branco”, dedito ad attività di lotta per procacciare la sopravvivenza della famiglia: conflitti lavorativi, scontri e rivalità. Quindi per l’uomo la coccola è ristoro, rassicurazione che deriva dalla stabilità del rapporto e pace.
La gratificazione: dagli abbracci al cioccolato
Esiste poi un’altra forma di coccole, diciamo coccole in senso lato, che agiscono sul sistema neurobiologico della gratificazione.
Sono le coccole che ci concediamo per gratificarci: cibi appetitosi, un nuovo acquisto, un bagno caldo, un buon gelato, il cioccolato.
Nei primi mesi e giorni di vita di un essere umano il rapporto con la madre è una questione essenzialmente fisica. Alcuni studi suggeriscono come i bambini che hanno sperimentato largamente il co-sleeping (dormire insieme) nei primi sei mesi di vita abbiano una miglior capacità di recupero dallo stress indotto dalla “strange situation”, la condizione sperimentale con cui attorno ai 12-18 mesi si indaga la sensibilità emotiva alla presenza di persone estranee.
L’abbraccio è fin da subito un segno di fiducia nell’altro e al tempo stesso di protezione dell’altro: quando l’altro ci abbraccia, ci affidiamo, ci mettiamo in una condizione di vulnerabilità; anche l’uomo a volte ha bisogno di abbassare la guardia e potersi sentire abbracciato. Con l’abbraccio entriamo nel mondo dell’altro, oltrepassiamo quella che in semeiotica della comunicazione non verbale viene chiamata “zona di intimità”, il contatto fisico e i trenta centimetri di perimetro attorno al corpo. Si sentono odori, temperatura, respiro, il cuore che batte. Questa interazione aumenta esponenzialmente la capacità di empatizzare, ovvero di immedesimarsi nel vissuto emotivo dell’altro, pur rimanendo se stessi. Pensiamo ai giocatori di calcio dopo un gol: è la massima forma di condivisione e sincronizzazione emotiva.
L’abbraccio ha poi filogeneticamente un significato adattivo per la sopravvivenza: di fronte al temuto freddo, stare vicini e abbracciarsi permette di scaldarsi più efficacemente, risparmiando energie nella termoregolazione autonoma.
L’ormone dell’abbraccio e delle coccole è l’ossitocina.
Regola i comportamenti di coalizione rispetto a quelli competitivi aggressivi: un aumento dell’ossitona produce comportamenti e atteggiamenti mentali di apertura, intimità e collaborazione e aumenta la capacità di fidarsi e affidarsi.
L’ossitocina riduce infatti l’attività dell’amigdala (parte del cervello che regola varie emozioni, tra cui la paura) e aumenta l’attività della corteccia prefrontale ventromediale, zone cerebrali che invece sostengono comportamenti di attenzione, coinvolgimento e preoccupazione per l’altro.
Al contrario l’isolamento sociale produce, come documentato da numerose analisi, effetti neurobiologici oltre che psicologici:
• un’attivazione tonica del sistema simpatico e un incremento dell’attivazione dell’asse ipotalamo ipofisi surrene: significa che le risposte fisiologiche allo stress vengono esagerate;
• una riduzione dell’efficienza della reazione immunitaria;
• una riduzione della reazione alle infiammazioni;
• disturbi del sonno.
Insomma, la solitudine non fa bene al business, ma neppure alla salute fisica e mentale!
Recenti indagini epidemiolgiche, che hanno cercato di misurare il livello di felicità moderna, hanno rintracciato un livello di serenità e ottimismo maggiore in quelle persone che dedicano tempo ed energie alla condivisione e alla partecipazione attiva alla vita comunitaria.
E a proposito di cioccolato…
Sempre secondo alcuni studi, pazienti predisposti a stati depressivi tendono a fare maggior uso di cioccolato. È complesso capire cosa significhi questa correlazione: sicuramente mangiare cose “golose” è una modalità primaria di ottenere gratificazione.
Niente di male, dunque.
Senza cadere in stati di “emotional eating” (per cui il cibo diventa il mezzo per rispondere ad ansia, tristezza o rabbia, magari neppure “messe a fuoco”, ma segnalate semplicemente da un senso di vuoto allo stomaco), possiamo riconoscere come sia del tutto normale che il nostro organismo reagisca facendoci sentire la necessità (in inglese “craving”) di mangiare alcuni cibi: per esempio, quando siamo stressati o abbiamo bisogno di accudirci un po’, dopo il lavoro, abbiamo fame di pietanze, come il cioccolato, che scatenano nei nostri circuiti neuronali una reazione forte, culminante in un senso di gratificazione e benessere. Il cioccolato, in questo caso, è uno strumento di soddisfazione edonistica e un buon rimedio ai nostri bisogni.