Noi e gli altri


Redazione V+ Redazione V+

Dal volume N° 31

Perseverare è umano

SIAMO CREATURE CHE, IN MILIONI DI ANNI, SONO SOPRAVVISSUTE A ENORMI DI DIFFICOLTÀ. DUNQUE, AL CONTRARIO DI QUELLO CHE DICE IL PROVERBIO, DIABOLICO È RINUNCIARE E RIMANERE IMMOBILI

INTERVISTA A PIETRO TRABUCCHI

A CURA DI VALERIA TONELLA

Tutti parlano di resilienza, lei ne è stato assurto prima a campione (con le sue imprese epiche) e poi a esperto (con la sua attività di psicologo per la squadra olimpica nazionale di sci di fondo alle Olimpiadi di Torino e per le squadre nazionali di thrialon e ultramaratona). Ci dice la sua definizione di questa parola? Cosa significa per lei?
Per me la resilienza è forse la più importante tra le capacità distintive umane. I grandi filosofi greci conoscevano bene l’uomo, ma forse – alla luce della ricerca scientifica odierna sul cervello – hanno sopravalutato il ruolo dell’intelletto come capacità distintiva tra l’uomo e l’animale. Oggi sappiamo, per esempio, che anche i primati hanno accesso al pensiero simbolico; e che perfino scimmie più primitive possono trasmettere per via culturale gli apprendimenti. No, la vera differenza tra l’uomo e l’animale è motivazionale. La forza della motivazione umana è più ampia di quella animale. Gli esseri umani sanno soffrire più di un animale per raggiungere un obiettivo. L’animale solitamente cede prima. Questo non l’ho imparato solo lavorando con i grandi atleti, ma soprattutto dai dati scientifici che riguardano gli ultimi due milioni di anni di evoluzione umana. Ecco, la resilienza è la misura dell’intensità motivazionale. Detto in parole povere, indica la capacità di mantenere la motivazione e andare avanti anche di fronte alle difficoltà e agli ostacoli.


Da sempre, ha avuto a che fare con i concetti di “resistenza” e “prestazione”: anche un venditore che ci legge e che non pratica sport “estremi” si confronta con queste realtà ogni giorno, pur in modo diverso. Da dove partire?
Certo, perché come dicevo sopra, la resilienza è una capacità umana di base. Chiunque sia motivato a inseguire un obiettivo deve fare i conti con la propria resilienza individuale, cioè con la su capacità di mantenere intatta la spinta verso l’obiettivo. Sappiamo benissimo che ci sono persone che si scoraggiano e desistono ai primi insuccessi; e persone che sono capaci di perseverare per tempi estremamente lunghi. In altre parole: si può essere dei grandi venditori senza aver mai praticato sport estremi. Lo sport estremo è solo un ottimo laboratorio per studiare come funziona la motivazione umana e trarne dei metodi e delle tecniche utili a tutti. L’importante è sapere che la resilienza può essere allenata.


Mente e fisico lavorano insieme per qualsiasi risultato: in che modo?
L’idea di una separazione tra mente è corpo è culturale e illusoria. Un retaggio di Platone e di Cartesio. Nella realtà gli stati d’animo e i pensieri influenzano, attraverso le emozioni e i correlati neuroendocrini, il funzionamento corporeo. Una persona molto motivata, per esempio che sta lottando per la vita, libera – attraverso dei meccanismi ormonali di emergenza – livelli di prestazione per lui inimmaginabili. Oppure riesce a farlo perché ha condizionato e allenato il proprio cervello. Senza questo, anche il corpo non va molto lontano.

La sua idea è che “sappiamo con certezza che gli esseri umani sono stati progettati per affrontare con successo difficoltà e stress”. Quali sono le paure, le debolezze e le barriere mentali che ci rendono ancora incapaci di essere resilienti, nonostante le guerre, i predatori, le carestie cui la razza umana è sopravvissuta?
Quello che oggi “ci frega” sono alcuni fattori culturali, è la nostra educazione. Questa per lo meno è la tesi del mio ultimo libro, Tecniche di resistenza interiore. Il rallentamento dell’economia è più forte – dati di economisti alla mano – nei Paesi dove il benessere è stato troppo prolungato e la gente si è letteralmente seduta. In più esiste una pressione culturale molto forte a credere che l’uomo sia per natura debole e vulnerabile, che abbia sempre bisogno di aiuti esterni a cui poggiarsi, di pilloline, di qualcuno che gli tolga le responsabilità della propria vita. A tutto questo si somma la pressione della tecnologia digitale che ci sconnette dalla realtà sensoriale. Il rimedio non è tornare indietro alla vita selvaggia o alla barbarie, ma prendersi la responsabilità di se stessi e cominciare ad allenare la resilienza nostra e di chi ci sta intorno.

Qual è il ritratto di un venditore resiliente, se dovesse tracciarlo?
Una persona che ha imparato a rialzarsi continuamente dagli insuccessi e non molla mai. Non si nasce così, non c’è il gene del “grande venditore”. Occorre molta consapevolezza sui propri punti di forza e di debolezza e poi un allenamento continuo, come un grande atleta.



Qual è, secondo lei e secondo i suoi lettori, la ragione del suo successo editoriale?
Forse le ragioni sono due. Uno: ci ho sempre messo la faccia. Se dico, per esempio, che alla fatica o al freddo possiamo resistere un po’ più di quello che crediamo, è perché prima ci sono passato personalmente. Chi elabora metodi sensazionali stando dietro la scrivania è sempre meno credibile di chi propone cose anche più modeste, ma collaudate nella realtà. Due: dico delle cose solo se si basano su evidenze scientifiche. Le cose magiche, fumose, miracolistiche non mi piacciono. Quindi il lettore trova nei miei libri argomentazioni razionali e metodi di lavoro più che suggestioni miracolistiche. Bellissime, magari, ma di cui poi alla fine, passata l’emozione del momento, non sai cosa fartene.

Anche i più grandi campioni perdono o cadono. Cosa deve fare un venditore che si trovi in stallo o in una situazione di difficoltà?
Le situazioni di difficoltà o temporaneo insuccesso fanno parte del mestiere di venditore, e un bravo venditore dovrebbe cominciare proprio da lì, allo stesso modo di un atleta, sapendo che sono cose che fanno parte del gioco, e quindi vivendole come un aspetto inevitabile, doloroso ma passeggero. Rialzarsi è tanto più facile quanto egli avrà assimilato una mentalità per cui il successo è frutto non di capacità innate, di un “dono” che si possiede, ma dell’impegno e dell’allenamento delle competenze necessarie. Se avrà fatto così, ogni insuccesso sarà letto come “non sono stato abbastanza bravo questa volta, devo allenarmi ancora un po’”. Paradossalmente l’insuccesso lo motiverà a dare di più. Se invece uno si crede il “numero uno della vendita” in base a qualche inspiegabile caratteristica personale, lo stallo diventa una palude perché non ha una chiave per venirne fuori.

Qual è la sua citazione preferita? E il suo libro preferito?
“Per quanto sia vasta l’oscurità, dobbiamo procurarci da soli la nostra luce”. Questa frase di Stanley Kubrick è una delle mie citazioni preferite e l’ho posta a esergo del mio ultimo libro. Mi sembrava molto azzeccata. Significa che non possiamo attendere che le cose cambino attraverso la politica o le riforme amministrative. Possiamo augurarcelo, ma non basta. Se vogliamo salvarci, dobbiamo muovere le nostre gambette da soli. Non ho un unico libro preferito. Ne ho tanti: Il colpo di grazia della Yourcenar, The Road di Mc-Cormack, Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson, per esempio.